Cultura

24 settembre '44, la morte
eroica del partigiano Carmen

Cade oggi l'anniversario della fucilazione di Luigi Ruggeri che da sottoufficiale dell'esercito dopo l'armistizio disertò abbracciando la lotta partigiana. Nuovi particolari sulla vicenda nella ricerca di Fabrizio Superti

Iniziava ad albeggiare quella domenica del 24 settembre del 1944 quando da un mezzo della Guardia Nazionale Repubblicana, la milizia della Repubblica di Salò, scendeva a fatica un giovane provato da diversi giorni di sevizie patite nelle stanze dell’Ufficio Politico investigativo; quel ragazzo rispondeva al nome di Luigi Ruggeri, nome di battaglia “Carmen”, un ex sottoufficiale della Guardia di Finanza che dopo l’otto settembre aveva disertato per unirsi ai nascenti gruppi di lotta partigiana.

Sono i suoi ultimi momenti di vita, un’esistenza intensa seppur breve che si consumava lungo il perimetro di una cascina posta nell’abitato di Pozzaglio, località dove lo stesso era stato arrestato pochi giorni prima. La sua fucilazione doveva servire anche come monito a tutta la popolazione; l’opposizione al Regime fascista comportava anche il rischio di conseguenze estreme. Difficile immaginare i suoi ultimi pensieri posto innanzi ad un plotone di militi con ogni probabilità di pari età; la crudeltà di una guerra civile che vedeva fronteggiarsi giovani magari cresciuti negli stessi luoghi.

La vicenda del partigiano Luigi Ruggeri, ricordata e rinnovata ogni anno presso il municipio di Pozzaglio (quest’anno cerimonia il 5 ottobre) risultava similare a quella dei tanti militari che, dopo l’armistizio, decisero di intraprendere la lotta contro il neonato Regime nazifascista.
Il giovane Luigi era figlio di Domenico, originario di Torre de’ Picenardi, unitosi in matrimonio, nell’aprile del 1908, con Mancini Maria, una giovane originaria di Fiesse, un piccolo borgo della bassa bresciana; l’unione era stata celebrata nel comune di Asola dove la nuova famiglia si era insediata e dove venivano alla luce i primi tre figli della coppia (Carlo, Teresina e Ida). Nel periodo intercorso fra il 1914 ed il 1919 i due coniugi risultavano trasferiti nell’abitato di Gottolengo, località bresciana in cui la famiglia si ingrandiva con le nascite di Mario, Rosa e Alceste.

L’ultimogenito Luigi completava l’organigramma famigliare nascendo a  S. Martino in Beliseto durante la vigilia di Natale del 1920; l’attività di papà Domenico, inizialmente censito come agricoltore, era da tempo dedita all’attività di oste con annessa salumeria: pratica a cui, nel tempo, erano stati inseriti anche alcuni dei figli. Fra i fratelli spiccava, come dato non scontato per l’epoca, la figura di Rosa che risultava impiegata presso un istituto di Credito; il figlio minore Luigi, impiegato come commesso, potrà invece avvalersi del conseguimento del titolo della “Terza Commerciale”. Nel 1932 i Ruggeri avevano, nel frattempo, lasciato la località posta lungo la via Bergamo per trasferirsi a Cremona in via Esilde Soldi prima ed in seguito in via Buoso da Dovara.

La vita famigliare in casa Ruggeri veniva scossa dalla scomparsa, avvenuta nel maggio del ’34, del capofamiglia lasciando pertanto il quattordicenne Luigi orfano ancora adolescente; raggiunta l’età per prestare il servizio militare optava per frequentare, dall’ottobre del ’39, la scuola allievi della Guardia di Finanza con la ferma triennale. La sua attività si svolgeva presso la Legione territoriale di Milano dove sovente veniva designato ad incarichi di controllo lungo la frontiera svizzera. Il servizio svolto presso quelle località di frontiera, come ad esempio a Luino, gli consentiva di familiarizzare con dei luoghi che risulteranno preziosi quando, dopo l’armistizio, si presterà, in modo rocambolesco, a trovare rifugio proprio in territorio svizzero.

Nel maggio del ’43 risultava aggregato ad un contingente destinato ad operare in territorio sloveno; in occasione dell’annuncio dell’armistizio si trovava alloggiato presso la rinomata caserma “5 giornate di Milano” posta in via Melchiorre Gioia.

In quel difficile contesto storico maturava la convinzione di abbandonare la caserma per intraprendere un percorso assai accidentato in uno scenario di assoluta confusione ed incertezza; a suo carico veniva spiccata una denuncia alla Procura di Stato presso il Tribunale di Milano in quanto appunto responsabile di diserzione essendosi arbitrariamente allontanato dal proprio reparto il 15 settembre del ’43 dopo esser evaso dalla camera di punizione portando via, fra l’altro, due coperte.

Dopo aver trascorso un breve periodo in territorio elvetico rientrava in Italia ed iniziava a tessere rapporti con il nascente movimento partigiano che si opponeva al governo della Repubblica di Salò. La preparazione militare acquisita durante il servizio prestato gli consentiva di manifestare qualità tanto nel promuovere la formazione di nuovi gruppi clandestini quanto nel partecipare direttamente ad azioni di contrasto verso le formazioni repubblichine.

Da sottufficiale a capo partigiano. Numerose testimonianze postume concordano nel delineare il suo appassionato impegno sia nella zona del casalasco che nei territori appenninici d’oltre Po; alla fine di maggio del ’44 veniva arrestato, in forza di un ulteriore mandato di cattura spiccato dalla Procura di Milano, ma scarcerato dopo una decina di giorni in quanto ammesso ai benefici della libertà provvisoria. In quell’estate giungeva ad assumere la qualifica gerarchica partigiana di comandante di battaglione con circa cento affiliati da sovrintendere.

La sua attività s’interrmpeva a causa di un controllo da parte di una pattuglia di militi presso l’abitazione di una congiunta, dove aveva trovato rifugio provvisorio; mentre alcuni suoi commilitoni riuscivano ad eludere la sorveglianza e a darsi alla fuga, Ruggeri, salito al piano superiore, rimaneva bloccato e ben presto catturato. Il rinvenimento di armi nella casa senza alcun titolo di possesso costituiva una fattispecie di reato che poteva comportare anche la fucilazione; trasferito presso gli uffici dell’UPI, il servizio preposto al contrasto alla lotta clandestina, subiva per tre giorni serrati interrogatori alternati da blandizie e trattamenti fisici di estrema durezza.
Nonostante le misure adottate a suo carico, Ruggeri  riusciva a mantenere un assoluto riserbo circa l’organizzazione di cui da tempo occupava un ruolo di particolare responsabilità. Accusato inoltre di aver partecipato al fermo ed alla rapina di un gerarca fascista, vedeva la sua situazione precipitare rendendo vano anche un tardivo tentativo di scambio con alcuni prigionieri catturati in precedenza dai partigiani. Dopo tre giorni di torture il Ruggeri veniva trasferito a Pozzaglio per l’immediata fucilazione.

Lo stesso Ufficio Politico del Comando provinciale della GNR avvisava il Comando Generale del medesimo organismo in merito all’avvenuta fucilazione del Ruggeri. Così si leggeva in un  fonogramma del 25 settembre:

”alle ore 6.30 del giorno 24 corrente sulla Piazza del comune di Pozzaglio Ruggeri Luigi è stato giustiziato mediante fucilazione siccome contravventore al bando del Duce circa il possesso abusivo di armi da fuoco. Il giustiziato era fra l’altro responsabile aggressione segnalata in precedenza con foglio 33/72.”

Anche la comunicazione al Distretto militare, circa l’avvenuta morte del Ruggeri, avveniva tramite un rapporto stilato dal distaccamento di Corte de’ Cortesi all’inizio di novembre in cui si rimarcava come

“Luigi Ruggeri di Domenico, classe 1920, residente a Cremona in via Buoso da Dovara è stato fucilato dalla GNR di Cremona a Pozzaglio per aver commesso atti di brigantaggio e trovato in possesso di armi. Ruggeri era reo confesso.”

Il freddo e laconico frasario dell’estratto di morte redatto dall’addetto del comune di Pozzaglio, ad uso della Terza Legione territoriale della Guardia di Finanza del “Carroccio (Milano), annotava, nel novembre del ’44, come Luigi Ruggeri, di anni 23 e residente a Cremona, fosse morto alle ore sei e trenta in suddetto comune.

Il corpo del Ruggeri veniva poi sepolto nel cimitero di Pozzaglio; la salma subiva una vigile sorveglianza affinché non venissero deposti fiori in sua memoria, specie se di colore rosso. Alcuni conoscenti che avevano voluto rendere omaggio alla sua tomba in occasione della ricorrenza dei defunti, erano stati sottoposti a severi richiami da parte delle autorità. A volte anche i cadaveri si ostinano a rappresentare un pericolo per chi aveva inteso cancellarne la memoria. La tomba rimaneva quindi priva di ornamenti per l’ultimo rigido e difficile inverno di guerra. Dopo pochi mesi, la brezza del 25 aprile, che Carmen non poté assaporare, avrebbe riportato amici ed estimatori a poter rendere il doveroso omaggio a chi aveva compiuto l’estremo sacrificio in difesa delle proprie idee.

Nell’immediato Dopoguerra, in occasione dei processi avviati dalla Corte d’Assise Straordinaria per i crimini di collaborazionismo, la vicenda legata al partigiano Carmen riaffiorava in diversi procedimenti penali; fra questi quello posto a carico del tenente-colonnello della GNR Ezio Murroni che, in forza dell’elevato grado di responsabilità prestato, poteva risultare coinvolto nella catena di comando legata alla fucilazione di Luigi Ruggeri. Lo stesso si difendeva dichiarandosi estraneo ai fatti chiamando a testimone Padre Isidoro dei frati Cappuccini che si era occupato della triste sorte del partigiano; la sua versione veniva però smentita dalle dichiarazioni rese dal brigadiere Ferdinando Lettieri che, all’epoca della fucilazione, era stato demandato a dirigere il distaccamento di Casalbuttano. Nella sua funzione il Murroni gli aveva comandato di recarsi a Pozzaglio per garantire l’ordine pubblico in occasione dell’esecuzione del partigiano Carmen; ad accompagnare il graduato della GNR venivano mobilitati due militi in forza a Casalbuttano ed altri due del distaccamento fisso di Olmeneta (Galli Mario, Rapuzzi Valentino, Strada Ferrante e Palazzolo Vincenzo).

Vista l’ora della fucilazione, il paese risultava ancora deserto per cui nessun problema di ordine pubblico era insorto nell’occasione; il plotone di esecuzione sarebbe stato comandato dal tenente Angelo Belmonte con la concomitante presenza del Murroni.
Dopo l’avvenuta esecuzione il Murroni avrebbe dato indicazioni di lasciare il corpo del Ruggeri esposto al pubblico per almeno tre ore ma il brigadiere, stando a quanto dichiarato, consentiva di porre a sepoltura quasi immediata la salma del defunto. In merito a chi componesse il plotone di esecuzione permaneva invece una sorta di alone di mistero; tutti gli interrogati demandavano ad altri la conoscenza dei nominativi dei soggetti incaricati di eseguire la sentenza per cui non si poté giungere a definire in maniera certa la loro generalità.
Il profilo e l’azione che hanno caratterizzato l’agire di Luigi Ruggeri sono stati riconosciuti tali da poter conseguire, nell’estate del 1991, il prestigioso conferimento della Medaglia di bronzo al Valor Militare; la motivazione in supporto ricordava come
“arrestato e sottoposto a feroci sevizie, manteneva stoico e ostinato silenzio senza nulla rivelare che potesse nuocere alla causa partigiana. Il 24 settembre 1944 affrontava, con ammirevole comportamento, il plotone di esecuzione e cadeva dopo aver inneggiato alla libertà della Patria”.
Fabrizio Superti

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