Cronaca

Contagiò la partner con l'Hiv
Confermata condanna a 8 anni

Non disse alla fidanzata di essere affetto da Hiv e la contagiò. Il 28 marzo dell’anno scorso, con l’accusa di lesioni personali gravissime, il collegio dei giudici di Cremona aveva condannato a otto anni di reclusione un 53enne operaio cremonese. Ieri la Corte d’Appello di Brescia ha confermato la sentenza di primo grado, mantenendo il risarcimento danni con una provvisionale di 100.000 euro a favore della ex fidanzata, 51 anni, parte civile attraverso l’avvocato Alessandro Vezzoni, mentre il resto da liquidarsi in un separato giudizio civile.

L’avvocato Vezzoni

Affetto da Hiv, per un periodo di tempo il cremonese non si era sottoposto alle cure e non aveva assunto i farmaci. Un comportamento che aveva favorito la trasmissione del virus alla sua fidanzata, ignara di tutto. Dopo quattro anni di relazione stabile, dal 2016 al 2020, e un anno di convivenza, la donna aveva scoperto per caso il 20 febbraio del 2020 il segreto del compagno, quando lo aveva accompagnato al pronto soccorso in seguito ad un incidente stradale. Leggendo i referti medici, era venuta a conoscenza che lui si era dichiarato affetto da Hiv. Il 27 febbraio del 2020 l’esito dei test aveva rivelato che anche lei aveva contratto la malattia.

Di “malattia insanabile” aveva parlato il pm, sottolineando il fatto che l’imputato aveva taciuto a tutti la sua condizione. “Condotta di totale sprezzo della salute”, avevano scritto i magistrati cremonesi nella motivazione. “Non lo sapevano neppure la ex moglie e il medico di base, e neppure le altre persone con cui il 53enne aveva avuto rapporti occasionali, uomini e donne”. Nessuno, per fortuna, era stato contagiato, ma poi l’uomo per più di un anno e mezzo non aveva più assunto la terapia o lo aveva fatto in maniera scorretta.

Di quanto sta patendo ancora oggi la la vittima, sia da un punto di vista fisico che psicologico, ha parlato l’avvocato Alessandro Vezzoni, che ha ricordato che la sua cliente è costretta a prendere farmaci per tutta la vita, a sottoporsi ad esami invasivi e a seguire una terapia psicologica. “Da febbraio del 2020”, ha detto il legale, “la sua vita è cambiata. Vive nella paura di stare in mezzo alla gente”.

La difesa, invece, aveva cercato di dimostrare la mancata intenzionalità di creare un danno alla fidanzata. “Si parla di una persona sprovveduta, priva di mezzi”, aveva detto l’avvocato Marilena Gigliotti, “non c’è stata da parte sua una pianificazione, non c’era la consapevolezza del rischio. Non c’è alcuna evidenza scientifica che dimostri quale fosse la carica virale da agosto del 2019 a maggio del 2020”.

Secondo quanto emerso dalla documentazione medica, la prima evidenza di positività al virus dell’imputato risale all’8 maggio del 2010. L’uomo era stato preso in carico dal reparto Infettivi dell’ospedale di Piacenza e iniziato la terapia il 25 maggio del 2012 con controlli regolari e con assunzione dei farmaci. La sua era una terapia che avrebbe dovuto essere costante e somministrata a vita. Dal febbraio-marzo del 2017, però, non c’erano più evidenze di controlli e di visite. Secondo gli esperti che erano stati sentiti in aula, “la mancata costanza nella somministrazione delle cure ha avuto l’effetto di aver dato libero accesso al virus. Senza farmaci, a distanza di 3/6 mesi si ritorna ad essere contagiosi.

Con la sua fidanzata, l’uomo si era giustificato dicendo di non aver mai trovato il momento giusto per l’affrontare l’argomento, temendo di perderla. I rapporti di coppia si erano poi chiusi e la donna aveva iniziato a sottoporsi alle cure per arginare le conseguenze del virus: “ogni 24 ore devo prendere una pastiglia”, aveva raccontato lei, “ogni sei mesi devo fare gli esami del sangue e ho una psicologa che mi segue. Non ho più avuto relazioni perchè non mi fido più di nessuno e non mi va nemmeno di dire ciò che è successo. Lui mi ha rovinato la vita”.

Sara Pizzorni

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