Cronaca

Violenze psicologiche sulla ex:
sentenza ribaltata, bancario assolto

Il tribunale di Brescia

Lo scorso 5 dicembre, con l’accusa di aver maltrattato l’ex moglie, un 65enne cremonese, ex bancario, era stato condannato ad una pena di tre anni e due mesi di reclusione. La Corte d’Appello di Brescia ha invece ribaltato la sentenza, assolvendo l’imputato “perchè il fatto non sussiste”. Il 65enne, per il quale anche il pm del primo grado aveva chiesto l’assoluzione, era difeso dagli avvocati Mimma Aiello e Francesca Melillo. Finito a processo anche per maltrattamenti al figlio di 8 anni, l’uomo era già stato assolto in primo grado. Ora, in seguito alla sentenza di assoluzione, all’imputato è stata revocata la misura del divieto di avvicinamento alla moglie (quella al figlio era già stata revocata con l’assoluzione del primo giudizio).

Da sinistra, gli avvocati Melillo e Aiello

In 20 anni di matrimonio non ho mai litigato con mia moglie. L’ho sempre amata e rispettata. La nostra era una normale vita di coppia senza problemi. Non ho mai alzato le mani e non abbiamo mai discusso neanche sui soldi. Lei aveva la massima libertà d’azione”. Si era difeso così, l’imputato, che per l’accusa, dal 2003 al 2022 avrebbe offeso abitualmente la donna con espressioni come “Non vali niente”, “Fai schifo”, “Vai a prostituirti che così guadagni qualcosa”, e che l’avrebbe anche minacciata di morte, controllando ogni suo movimento e ogni sua telefonata, pedinandola e tempestandola di telefonate, imponendole ogni mese di indicare sull’estratto conto le ragioni di ogni singolo esborso o prelievo e colpendola in alcune occasioni con violenti schiaffi al volto.

Che non ci fosse alcuna prova a carico del 65enne ne era già convinto il pm di Cremona Francesco Messina, che nella sua requisitoria aveva sottolineato il fatto che non ci fosse mai stata documentazione medica, nè chiamate alle forze dell’ordine. Il pm aveva parlato di soli due episodi di aggressioni fisiche alla ex moglie in vent’anni di matrimonio. “Non bastano per sostenere una condanna per maltrattamenti. Siamo davanti alle dichiarazioni di lei contro quelle di lui che ha sempre negato”.

Anche nei confronti del figlio, che sarebbe stato abitualmente ingiuriato, minacciato e percosso di frequente con forti schiaffi sulla testa e sulle spalle, nulla era emerso da parte dei testimoni sentiti: amici di famiglia, colleghi, la pediatra, l’insegnante, la vicina di casa. “Mai visti litigi tra i due coniugi”, avevano detto i testimoni, “nè che lui sgridasse il bimbo. Con loro era sempre presente la suocera“.

Un tasto dolente, per l’imputato, sarebbe stata la figura della madre di lei, la cui presenza, “ingombrante e costante”, sarebbe stata il problema centrale all’interno della relazione della coppia.

Anche in Appello, nelle loro arringhe, i difensori hanno parlato di un “padre amorevole e attento. Il nostro cliente lavorava in filiali lontane dalla sua residenza, non si capisce come avrebbe potuto continuare a pedinare la moglie o a tempestarla di telefonate”.

“Abbiamo dimostrato”, hanno detto i due avvocati, “che queste accuse non erano vere, o comunque che i fatti non erano avvenuti come descritti dalla moglie”.

Sara Pizzorni

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