Cronaca

Maltrattava e picchiava la
compagna, a processo 31enne

L’avvocato Luca Curatti

Lei, che all’epoca dei fatti aveva una trentina d’anni, pensava di aver trovato l’uomo della sua vita, quello con cui creare una famiglia. All’inizio era dolce, premuroso, attento. Poi, dopo alcuni mesi di frequentazione e un temporaneo allontanamento di lui, i due avevano deciso di andare a convivere, e di avere un bambino.

“I problemi sono iniziati quasi subito” ha raccontato la giovane. “Inizialmente non era violento, ma aveva degli atteggiamenti strani”. Poi le cose sono degenerate. Prima ci sono stati gli scatti d’ira. “A volte gli veniva un attacco di rabbia e rompeva gli oggetti in casa. Bastava una mia parola sbagliata per trasformarlo completamente”. Così durante le discussioni aveva rotto il televisore, la lavatrice, sfondato a calci porte e mobili, distrutto stoviglie.

“Un giorno, ero al terzo mese di gravidanza, durante una discussione mi ha spintonata, facendomi cadere a terra, e dicendomi che mi avrebbe fatto abortire così. Quella è stata la prima volta che ha manifestato un’aggressività fisica nei miei confronti” ha ricordato Maria.

La prima di una lunga serie: come le volte che le prendeva le labbra, dicendole di tacere e torcendogliele con violenza, fino a farle sanguinare. O la volta che, nell’estate 2020, nel corso di una discussione le aveva dato una testata in fronte, provocandole la deviazione del setto nasale, e un anno di emicranie. Eppure, per lei, donna tosta, ma innamorata, era difficile prendere le distanze: “Dopo quell’episodio si era messo in un angolin a piangere, disperatamente, tanto che gli ero andata vicino e gli avevo detto di non preoccuparsi e che non era successo nulla”.

Durante un altra lite, spintonandola, l’aveva fatta sbattere contro un mobiletto del bagno, causandole lividi sul volto e un taglio all’orecchio. Era stato in quell’occasione che la sorella della giovane aveva intuito vi fossero dei problemi. Vedendo gli ematomi, le aveva chiesto spiegazioni, ma Maria, che non voleva ammettere con la famiglia quanto stava accadendo, aveva raccontato di essere caduta al lavoro. Così come faceva ogni volta che appariva un nuovo livido: trovava delle scuse. Ma oltre alla violenza fisica, c’era quella psicologica, quasi quotidiana, e gli insulti.

Durante i momenti più violenti la giovane aveva provato anche a chiedere aiuto, ma nessuno si era mai interessato alle sue grida. Poi il culmine, quell’episodio che l’aveva convinta a chiamare i Carabinieri. “Quel giorno mi ha aggredito mentre teneva nostra figlia in braccio. E ho pensato che se poteva fare così di fronte alla bambina, avrebbe potuto farmi di tutto”.

Era l’aprile 2021 quando era esplosa la violenza: durante l’ennesima accesa discussione l’uomo le aveva sferrato un calcio sotto il mento e uno nello stomaco. “A quel punto hoi reagito e l’ho graffiato, poi sono scappata e sono andata da mio padre, che ha chiamato i Carabinieri” ha spiegato Maria.

Quello era stato l’ultimo episodio, poi l’uomo si era allontanato dalla casa e per la giovane era tornata la pace, dopo due anni da incubo, durante i quali comunque la relazione era andata avanti, senza che lei avesse il coraggio di andarsene. Dopo la denuncia, si era rivolta a un centro antiviolenza, che l’aveva aiutata a portare avanti la sua battaglia.

In famiglia era stata la sorella, ascoltata a sua volta come testimone, l’unica ad accorgersi che qualcosa non andava. Motivo per cui aveva scattato le foto ai lividi di Maria. “La vedevo nervosa, tesa, e giustificava sempre i comportamenti di lui. Quando le chiedevo se ci fossero dei problemi, diceva che andava tutto bene”.

Dopo aver ascoltato i testimoni, il giudice ha deciso di rinviare il procedimento al 17 giugno, per la discussione finale.

Laura Bosio

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