Cronaca

Melega, pm chiede 12 anni. Difesa:
"Indagine lacunosa e superficiale"

Associazione a delinquere finalizzata alle truffe online (95 quelle contestate), frode fiscale, autoriciclaggio e due episodi di bancarotta. Sono le accuse contestate all’imprenditore cremonese Marco Melega, 51 anni, per il quale oggi il pm Chiara Treballi, al termine di una requisitoria durata un’ora e dieci minuti, ha chiesto una pena di 12 anni di reclusione.

Il pm Treballi

Secondo il pm, che ha ripercorso il corposo procedimento penale, l’imputato, avvalendosi di diversi prestanome e società “cartiere”, avrebbe messo in piedi un meccanismo finalizzato a riciclare a proprio vantaggio il denaro illecitamente accumulato attraverso le truffe online. Le fasi prevedevano la costituzione di società intestate a prestanomi, pubblicizzate su emittenti televisive e radiofoniche di rilievo nazionale e che vendevano a prezzi concorrenziali, attraverso siti di e-commerce, prodotti di vario genere, come vini pregiati, buoni carburante, prodotti elettronici.

Secondo quanto accertato dalla guardia di finanza nell’operazione “Doppio Click”, le somme di denaro ricevute sui conti correnti delle società utilizzate per le truffe erano trasferite ad altre società, simulando il pagamento di operazioni in realtà mai effettuate e quindi successivamente monetizzate attraverso altri trasferimenti, oppure sotto forma di stipendi, pagamenti di consulenze, anticipazioni di utili.

A capo di alcune delle società ci sarebbero state “teste di legno“, persone che nulla avevano a che fare con il mondo manageriale. Tutti “piazzati” per amministrare le società che dopo aver guadagnato denaro, sparivano.

“Tutte le decisioni le prendeva Melega”, ha detto il pm, “che aveva in Cristiano Visigalli il suo interlocutore privilegiato”. Per la procura e per la guardia di finanza, Visigalli era “l’uomo di fiducia” di Melega. Entrambi erano stati arrestati nel luglio del 2019. Visigalli, che ha già patteggiato in udienza preliminare una pena di 4 anni e sei mesi, aveva scaricato tutte le responsabilità sull’imprenditore cremonese”.

A sua volta Melega, che il 12 ottobre scorso si è difeso, si è detto vittima del suo “braccio destro”. “Con Visigalli c’era un’amicizia trentennale”, aveva spiegato. “Era lui che aveva piena autonomia gestionale, era lui che amministrava le società. Per tutto ciò che riguardava il marketing, invece, si rivolgeva a me, mi chiedeva consiglio su tantissime cose. Io per lui ho fatto solo da intermediario”.

L’avvocato Angeleri

Per l’imputato, sarebbe stato Visigalli a realizzare materialmente tutte le operazioni finalizzate alla truffa, come ad esempio la sottoscrizione di contratti fasulli del ramo di azienda pubblicitario, colui che identificava e reclutava i diversi prestanome, che operava sui conti correnti delle società destinatarie del denaro ottenuto tramite i raggiri e che poi girocontava in favore di altre imprese, come la Domac e la Consulting, affinchè venissero ‘ripuliti’ prima che gli stessi fuoriuscissero in favore degli effettivi beneficiari.

Dopo la requisitoria del pm, è passata al contrattacco la difesa, rappresentata dagli avvocati Ilenia Peotta e Luca Angeleri. Una difesa che attaccato le indagini della finanza e puntato il dito contro Visigalli, che secondo i legali non è riuscito “nel suo squallido tentativo di spacciarsi per un cretino come ha fatto quando era stato intervistato da Striscia la notizia”. Al contrario, secondo Peotta e Angeleri, “era un imprenditore che sapeva quel che faceva. “La Domac era la società di famiglia di Visigalli, il suo fiore all’occhiello, lui ne era il titolare, era lui che mandava avanti tutto il meccanismo. Da lì sono partite tante truffe”.

L’avvocato Peotta

Per la difesa, “il teorema della guardia di finanza non è riuscito a produrre alcuna prova contro Melega, che è stato pedinato, inseguito, controllato”. “Ma dove sono”, si è chiesto l’avvocato Angeleri, “le tanto amate intercettazioni della procura?. Se fossero state fatte, ora non saremmo qui a discutere questo processo. E’ stato dato tutto per scontato senza fare un accertamento, come le utenze telefoniche che sono state attribuite a Melega, ma su che basi?. La finanza ha dato tutto per scontato facendo indagini lacunose e superficiali”. “Il nostro cliente è stato considerato il cattivo, lo spaccone di turno, quello che ha i soldi”, ha detto ancora l’avvocato Angeleri. “Ma ce li aveva anche prima di questa vicenda, bastava fare un accertamento sui conti bancari fino al 2018”.

“Per quale motivo, Melega, che guadagnava già stipendi da nababbo per aver portato nel mondo pubblicitario il sistema del barter, lo scambio di beni e servizi senza l’utilizzo del denaro, avrebbe dovuto fare queste banali truffe?. Si tratta di un imprenditore capace, e a volte, è vero, anche spregiudicato. Un imprenditore geniale, e proprio per questo distante dal commettere questo genere di raggiri”. Alla fine dell’arringa, un appello ai giudici: quello di “ricondurre ad un’equa giustizia una vicenda indotta da un personaggio come Melega che si è attirato anche invidia. Ma da qui a dire che è uno spaccone e un delinquente c’è una bella differenza”.

La sentenza sarà pronunciata il prossimo 23 novembre.

Sara Pizzorni

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