Cronaca

Frassi, Aida: "Non lasciamo che
si speculi sul corpo delle donne"

Dopo la lunga scia di femminicidi di cui si sono riempite le cronache, pubblichiamo l’intervento di Simona Frassi, vice presidente di AIDA – associazione donne antiviolenza di Cremona.

 “Ancora una donna morta ammazzata, dopo un’altra e un’altra ancora: l’ultima una giovane mamma di 39 anni, Marisa. Una lunga scia di sangue accompagna il cammino delle donne verso la libertà. Dall’inizio dell’anno sono 61 le donne morte uccise da uomini, all’interno di una relazione affettiva.

C’è chi parla di una Spoon River terribile di donne di ogni età e condizione: nessuna tragica fatalità, nessun ineluttabile destino ma solo la determinazione di sottrarsi a un rapporto tossico. Donne che avevano lasciato il maltrattante, donne che avevano denunciato, donne che lottavano per prendersi quello che a ognuna di noi spetta: la libertà di scegliere.

Una donna vittima di violenza maschile è una donna vittima di un reato: si tratta di una violazione dei diritti umani e – come tale – è un reato che la nostra legislazione punisce. Basterebbe questa considerazione a far piazza pulita di tante parole vane o spettacolarizzazioni del dolore, che strizzano l’occhio all’audience, infangando le donne.

Sacrosanto lo sdegno, meno tacitare le coscienze invocando castighi che non trovano spazio in uno stato di diritto.

La violenza maschile sulle donne ha numeri tali che ne fanno un fenomeno strutturale, innervato nella nostra società a qualsiasi livello e i dati Istat ricordano che, in Italia, una donna su 3 ha subito una qualche forma di violenza nell’arco della sua vita.

I Centri antiviolenza ci sono e accolgono le donne vittime di violenza: a Cremona, le operatrici del Centro antiviolenza A.I.D.A. lo scorso anno hanno accolto 78 donne, le cui storie hanno testimoniato quanto sia radicato il fenomeno.

Quando una donna è vittima di violenza maschile, quando una donna è stuprata, quando una donna è ammazzata dall’uomo di cui si fidava, col quale aveva condiviso un progetto di vita, la società è chiamata a interrogarsi, dalle istituzioni ai singoli.

Non lasciamo che sul corpo delle donne si speculi, che venga violato per ‘far cassa’, che l’educazione al rispetto dell’alterità sia lettera morta. Certamente ci sono luoghi deputati all’educazione alla parità – la scuola, la famiglia, le realtà che a vario titolo si prendono cura dei giovani – ma ognuno di noi è chiamato a non essere sordo alle richieste d’aiuto, a non condividere comportamenti denigratori e oltraggiosi, a non ammiccare alle battute sessiste, a dar voce a chi non ne ha più.

Il cammino verso la parità è un lungo cammino che passa attraverso il riconoscimento dei diritti delle donne  contro ogni forma di discriminazione in famiglia come sul luogo di lavoro, nel privato come in società.

La sensibilizzazione e il cambiamento culturale, come sempre, partono dal basso, partono di ciascuno di noi”.

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