A S.Agostino ultimo saluto
a Mike, l'amico buono
L’immagine evangelica del buon Samaritano, che non crede, ma è l’unico a fermarsi per aiutare il viandante colpito dai briganti, ha accompagnato l’addio a Michele Barbieri, durante il funerale celebrato questa mattina a S. Agostino.
Tantissimi i presenti, perchè Mike, come tutti lo chiamavano, stroncato domenica scorsa a 58 anni da un male incurabile scoperto appena sei mesi fa, era una persona aperta e gioviale capace di entrare in sintonia con chiunque.
Lo conosceva bene fin dagli anni degli scout don Attilio Cibolini, che ha officiato la cerimonia concelebrata da don Attilio Arcagni, don Irvano Maglia e frate Davide Fieschi, ex compagno di liceo: “Michele era il ritratto dell’esploratore sempre di buon umore e che si arrangia a fare di tutto”, questo un passaggio della sua omelia, “era facile essergli amico perchè ti catturava fin da subito con la sua faccia sorridente, la simpatia unita a un misto di signorilità , gentilezza e positività. Una copia esatta del papà Andrea: estroso, imprevedibile, di grande calore umano”.
“C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare, un tempo per strappare e un tempo per cucire, un tempo per conservare e un tempo per buttare via (…) che guadagno ha chi si dà da fare con fatica?”: una prima Lettura che delineava già una buona parte della personalità di Michele Barbieri, poi raccontato alla perfezione, a fine celebrazione, dall’amico di una vita, Marco Turati: “Era sempre nel cuore di tutte le situazioni in cui si andasse, lui era imprescindibile: scout, calcio, musica, carte, sciate, vacanze, assemblea, dovunque, lui era nell’epicentro. Si usciva in macchina in compagnia e nessuno si sarebbe mai sognato di non passare a prendere Mike. Senza di lui non era serata.
Aveva due qualità: prima di tutto era simpatico, irresistibilmente divertente, un talento innato, con una sagacia e un’ intelligenza mai volgare e una capacità clownesca e istintiva. Molti di voi hanno conosciuto questa sua dote nel periodo del lockdown, con i suoi incredibili personaggi, ma lui quelle interpretazioni le faceva già trent’anni fa (…)”. Estro, genio e sregolatezza.
“Un uomo così non poteva che scegliere di praticare con maestria la professione in cui è possibile applicare questo talento naturale, l’oste del XX secolo. Non era stato un lavoro rimediato, perchè le sue competenze non si trovano tanto facilmente in una sola persona, unite alla capacità di trattare con l’ambiente”, anche quando doveva redarguire il personale di sala, alla Fabbrica di Pedavena, il locale di cui è stato anima e volto fin da quando aveva aperto in via Bergamo, arrivato dopo l’esperienza milanese al “Fermento”, alla Bovisa, dove pure ha lasciato uno strascico di bellissimi ricordi in chi lo ha conosciuto.
“Un fuoriclasse, un professionista coi fiocchi”, ha continuato Turati, che ha però svelato anche l’altra faccia dell’amico, quella meno evidente: “Questa sua vena istrionica rappresentava secondo me uno degli strumenti a sua disposizione per nascondere un poco la sua fragilità, per mascherare la sua timidezza, la sua malinconia che aveva radici lontane.
E poi oltre che simpatico era veramente buono, un pezzo di pane, a volte ai limiti dell’ingenuità. Nel caso di Michele la bontà davvero rappresentava la sua cifra”. Uno dei tantissimi ricordi che da domenica stanno viaggiando sulla sua pagina Facebook, è proprio quello di una compagna di scuola delle elementari, straniera, che lui aveva aiutato sedendosi accanto e spiegando il significato delle parole in italiano che lei non capiva, facendola sentire protetta e accolta. “Quello era Michele Barbieri, quello è l’emblema della sua istintiva generosità, che sapeva applicare con i fatti, con i gesti, assai più che con le parole”.
E poi l’insegnamento che ci ha lasciato, controcorrente rispetto all’arrivismo dominante: “Mike era uomo di gruppo, uomo di squadra, tutto l’opposto della protervia e dell’arroganza”. “Ci sono due cose che possiamo fare per farti evadere da quella scatola. La prima: trarre davvero insegnamento dal tuo carattere, provare ad essere un po’ tutti un po’ più gentili, generosi, più auto-ironici. La seconda: provare a coltivare più relazioni, provare a pensare un po’ meno all’orto privato e un po’ di più a quel giardino pubblico che sono le comunità in cui viviamo”.
La “lievità” con cui ha saputo affrontare anche le disavventure della vita, è stata forse anche alla base della sottovalutazione dei dolori che provava da tempo: “Solo il 28 febbraio ha scoperto che quella che sembrava una gastrite era in realtà un sarcoma”. Da allora non è mai stato solo, in casa, e poi all’hospice dove si è spento domenica mattina.
Inevitabilmente scosse dal dolore le parole del fratello maggiore, Nicola, accanto alle sorelle Laura e Ilaria: “Fra le tante cose che avrei potuto fare per te, non avrei mai pensato di preparare un’orazione funebre. Per una scomparsa come la tua avrei dovuto trovare un senso a tutto quello che è successo, visti i miei studi filosofici e pedagogici, ma questo compito sarebbe stato destinato a fallire.
Mi ritrovo invece, da professore abituato a fare lezione agli altri, a imparare una lezione da te, la lezione delle tracce che hai lasciato in tutte le persone che ti hanno conosciuto anche solo sfiorandoti nell’atmosfera di una serata di festa. Le stesse persone che adesso stanno mandando messaggi in rete e che affollano questa chiesa. (..) Il Mike che conoscevamo noi, e che adesso non c’è più, è diventato una realtà aumentata grazie a tutte queste testimonianze, non una delle quali è retoricamente encomiastica come spesso accade in queste occasioni”.
E commosso anche il ricordo dell’altro amico fraterno Alberto Gnocchi e del compagno di liceo, frate Davide Fieschi.
Una celebrazione intensa e che forse nessuno voleva finisse, quasi a poter prolungare la vicinanza con un amico diventato personaggio pubblico.
La salma ha poi raggiunto il cimitero di Cremona, dove è stata tumulata nella cappella di famiglia che già ospita il padre e la mamma Fiorella.
“Mike, meraviglioso, splendido, straordinario cugino, per il momento due cose, che mi sembrano importanti, ricordati di SPEGNERE la caffettiera, lì c’è gente importante, non fare saltare in aria Jaco Pastorius o Debussy o Duke Ellington e con Nathalie Wood non impappinarti, poche, semplici parole, per iniziare. Ci sentiamo, non so esattamente come ma ci sentiamo”: è il saluto – rivoltogli via social da Igor Eboli Poletti, che può servire a sdrammatizzare il momento, come forse Michele avrebbe voluto. gb