Cronaca

Peste suina: cosa si rischia e
quali misure di prevenzione adottare

Maurilio Giorgi

Dopo i primi due casi di Peste Suina Africana in Lombardia, in provincia di Pavia, si alza il livello di allerta da parte delle autorità sanitarie. Come spiega Maurilio Giorgi, direttore del Dipartimento Veterinario e Sicurezza Alimenti di Origine Animale di Ats Val Padana, “l’allarme riguarda tutti ed è molto sentito per il fatto che qui presidiamo una zona ad altissima intensità suinicola. Solo in Ats Valpadana ci sono oltre 2 milioni di suini, con un indotto, per quanto riguarda la macellazione, notevole, in quanto macelliamo il 98% dei suini presenti in Regione Lombardia”. Dunque la situazione preoccupa molto per il danno economico che potrebbe arrecare a questa filiera.

Fortunatamente la situazione qui è sotto controllo: nel nostro territorio sono solo cinque i cinghiali morti rinvenuti sinora, e tutti sono risultati negativi alla Peste suina.

Ciò nonostante, è comunque in essere un allerta sanitaria. “Ci stiamo occupando di comunicare i rischi agli allevatori attraverso incontri mirati che per ora hanno interessato circa il 50-60% dei soggetti interessati” continua Giorgi. “Abbiamo voluto sensibilizzarli e aggiornarli sulle ultime novità, ma anche su quali sono i rischi e su come tenere lontano il virus”.

Una priorità assoluta, in quanto le conseguenze di un contagio nei nostri allevamenti sarebbe davvero devastante: “Questo tipo di virus non attacca l’uomo, ma determina danni ingenti alle produzioni” sottolinea il direttore del Dipartimento Veterinario. “Innanzitutto determina un’altissima mortalità tra i suini di allevamento: nel giro di 7-10 giorni tutti gli animali presenti muoiono. In secondo luogo, resistendo molto nell’ambiente e nelle carni, il virus può essere fonte di ulteriori infezioni. Anche per questo molti Paesi mettono al bando prodotti che provengono da aree infette, soprattutto i Paesi Terzi. Ad esempio la Cina non prende più la carne proveniente dall’Italia, la Corea non prende quella che proviene dalla regione interessata dal contagio, mentre Usa e Canada si limitano a non acquistare la carne che proviene dalla provincia dove si è riscontrata l’infezione”.

Cosa fare dunque per tenere lontano il rischio? Le autorità sanitarie mettono in campo diverse azioni, a partire dalla verifica, negli allevamenti, che vengano rispettate le misure di biosicurezza previste dai decreti ministeriali. “Nel nostro territorio per ora tali prescrizioni si limitano alla delimitazione delle aree di allevamento, nonché a modalità di ingresso tramite zone filtro del personale e disinfezione e imposizione di cambiarsi i vestiti. Misure che entreranno in vigore dal 26 luglio, data oltre la quale le inottemperanze verranno sanzionate.

Nel momento in cui dovessimo finire in zona di restrizione I e II, per consentire che i suini vengano macellati e perché le carni non abbiano restrizioni almeno nel mercato comunitario, occorrerebbero misure di biosicurezza rafforzata, ossia aree di allevamento circondate da barriere a prova di bestiame, che non possono essere divelte dai cinghiali” conclude il veterinario.

Laura Bosio

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