Viaggio della legalità a Palermo
L'esperienza del Manin
“La mafia teme più la scuola della giustizia. L’istruzione toglie erba sotto i piedi della cultura mafiosa”. Con queste parole il giudice Nino Caponnetto che, dopo aver guidato il pool antimafia di Palermo tra il 1983 e il 1988, continuò il suo impegno incontrando i giovani in Italia per trasmettere loro il senso di una legalità che si fonda sulle scelte quotidiane, ci richiama a una dimensione profonda, irrinunciabile dell’educazione, che non è una questione di parole, ma di responsabilità.
Responsabilità e conoscenza: ecco le due anime del processo formativo, e proprio queste due anime intrecciate hanno guidato il viaggio della Legalità 2023 a Palermo, dal 21 al 24 maggio, da parte di una delegazione del liceo Manin guidato dalla professoressa Giuseppina Rosato, in occasione del 31° anniversario della strage di Capaci, in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, e i tre agenti della scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.
“Io – spiega Rosato – rappresentavo il mondo della scuola cremonese e due colleghi dell’Istituto “Sraffa” di Crema, Pietro Fischietti e Stefania Bertazzoli, con una delegazione di 15 studenti, rappresentavano la realtà scolastica cremasca.
Un’esperienza densa, intensa, ricca e arricchente sotto diversi profili: umano, professionale, culturale, sociale. Un’esperienza estremamente interessante, coinvolgente, appassionante, commovente per alcuni tratti, emotivamente forte”.
La giornata clou del 23 maggio è stata anche l’occasione per commemorare le vittime delle stragi del ’93 a Firenze, Milano e Roma.
“Centinaia di docenti e studenti provenienti da tutta Italia – continua la professoressa – hanno risposto ancora una volta all’invito della Fondazione Falcone a vivere queste giornate con la consapevolezza che la memoria è impegno. Impegno costante a lavorare nella società per creare una coscienza antimafiosa. Perché la lotta alla mafia deve essere un impegno di tutti, a partire dal basso. Impegno costante significa contribuire alla costruzione di una cultura condivisa della legalità, attraverso la scuola, l’istruzione, la sensibilizzazione dei giovani, che sono persone non indurite dagli egoismi, non corrotte o intossicate dalla sete di denaro e di potere, persone ancora sensibili al sogno, all’utopia e a tutto ciò che trascende i confini di un Io sempre più facile preda dei demagoghi e degli spacciatori di illusioni.
Abbiamo bisogno di una memoria viva, che si traduca ogni giorno in responsabilità e impegno.
Dobbiamo trasformare la memoria del passato in un’etica del presente, dobbiamo fare della nostra Costituzione un’etica e una pratica di vita.
Il sentimento di amore deve essere inseparabile dal sentimento di giustizia, dalla volontà di costruire una società con molti meno IO e molti più NOI.
A 31 anni dalle stragi di mafia del ‘92, il 23 maggio quella di Capaci e il 19 luglio dello stesso anno quella di via D’Amelio, e a 30 da quelle del ’93, “quel disegno politico dietro le bombe” non può non continuare ad interrogarci, ad interpellare le nostre coscienze, a scuotere i nostri animi.
Per combattere le mafie, infatti, bisogna partire dal basso, dal microcosmo di ciascuno di noi, nel nostro essere e agire quotidiano. È necessario smantellare una ‘cultura mafiosa’, che fa del consenso di massa il punto di forza per alimentare il potere delle consorterie mafiose e della criminalità organizzata.
Per questo diventa importante sensibilizzare i giovani, la comunità civile, far conoscere, capire, leggere e interpretare correttamente la realtà, nei suoi meandri più reconditi, nelle sue pieghe più nascoste, per educare ad una cittadinanza attiva, consapevole e responsabile.
La mafia, le mafie sono annidate nei nostri territori – anche al Nord! –, radicate da decenni di malaffare e invischiate nel mondo dell’imprenditoria, della politica, dell’economia e della finanza.
La lotta alla mafia è una battaglia di legalità e di civiltà. Non basta scrivere le leggi nei codici se prima non le abbiamo scritte nelle nostre coscienze, spesso passive, un po’ addomesticate, che trasformano la legalità in qualcosa di strumentale, malleabile, calibrato a seconda degli interessi.
Prima di parlare di legalità, bisogna parlare di responsabilità, che è la base della nostra libertà.
La legalità resta una parola astratta, lontana se non si associa alla civiltà: la giustizia sociale, i diritti, l’educazione, la cultura, il lavoro, le politiche sociali, la famiglia, i giovani, gli anziani, i migranti …
In questo viaggio della Legalità, in una terra davvero straordinaria, qual è quella siciliana, così amena e accogliente, ricca com’è di cultura/e, tradizioni, Arte, bellezze naturali, alcuni luoghi in particolare sono stati scelti per ripercorrere segmenti importanti della Storia della nostra Italia repubblicana. Nomi di vie, di vittime della mafia/delle mafie che risuonano come macigni sulle coscienze di tutti e di ciascuno.
Un tour emotivamente toccante, psicologicamente impattante, ripercorrendo, attraverso le lapidi commemorative, i luoghi in cui sono stati commessi gli efferati assassinii dei martiri della Giustizia e della Legalità (Carlo Alberto Dalla Chiesa e Emanuela Setti Carraro, Piersanti Mattarella, Boris Giuliano, Mario Francese, Cesare Terranova e Lenin Mancuso, Libero Grassi, Mauro de Mauro, Rocco Chinnici, Gaetano Costa, Calogero Zucchetto). Lungo questi sentieri della Legalità, davanti ad ogni lapide, abbiamo ricostruito la storia e l’azione di questi uomini e donne, che per l’affermazione della Giustizia hanno sacrificato la vita.
Altro luogo-simbolo: in via Notarbartolo, davanti all’abitazione del giudice Falcone, vi è l’albero Falcone, diventato emblema di rivolta e di riscatto. Proprio sotto l’albero Falcone abbiamo concluso il nostro pellegrinaggio laico, con il lunghissimo corteo del 23 maggio.
Quei rami, con i numerosi messaggi lasciati da piccoli, giovani, adulti, sono rami parlanti, che dicono no alla violenza e alla sopraffazione mafiosa.
E che dire poi delle forti emozioni che ho provato via via che mi avvicinavo all’Aula bunker dell’Ucciardone, sino a varcarne, tremante, la soglia d’ingresso?
L’aula del maxi processo, la cosiddetta “astronave verde”, al mattino del 23 maggio pullulava di vita, fiducia, speranza in un futuro migliore: dall’efferatezza più violenta, dai misfatti più atroci riecheggiati tra quelle mura, dietro quelle 30 celle-gabbia, alla purezza di volti candidi e degli animi innocenti di centinaia di adolescenti, giovani studenti accompagnati dai loro insegnanti, che hanno ascoltato con attenzione, coinvolgimento, trasporto la magistrale lezione dei giudici Giuseppe Ayala e Piero Grasso, conclusa con quella commovente fiammella fatta scaturita dall’accendino del giudice Giovanni Falcone, che il giudice Grasso custodisce gelosamente e porta sempre con sé, a simboleggiare proprio la fiducia, la speranza di rinnovamento culturale ad opera della scuola, nelle sue diverse componenti, fermamente convinto che solo l’educazione, l’istruzione, la formazione possano essere l’unica vera forma di antimafia sociale.
Ogni giorno vorrei rivolgermi ai miei studenti con le stesse parole del giudice Antonino Caponnetto e dire loro, con ferma convinzione: “Ragazzi, godetevi la vita, innamoratevi, siate felici ma diventate partigiani di questa nuova Resistenza, la Resistenza dei valori, la Resistenza degli ideali. Non abbiate mai paura di pensare, di denunciare e di agire da uomini liberi e consapevoli. State attenti, siate vigili, siate sentinelle di voi stessi! L’avvenire è nelle vostre mani. Ricordatelo sempre!”.
E, allora, le ali della “Nike”, quella scultura suggestiva posta in piazza della Memoria, alle spalle del Palazzo di Giustizia di Palermo, possano portare libertà e bellezza nelle vite personali e professionali di ciascuno di noi, indirizzando il volo delle nostre scelte come insegnanti, educatori, uomini e donne che si fanno interpreti, con il loro esempio concreto, di un’etica della responsabilità.
L’etica, infatti, è il primo argine all’illegalità. Nei contesti professionali non può mai essere vista come un “di più”: non è un obiettivo fra gli altri, ma ciò che deve fare da sfondo ad ogni progetto, ad ogni investimento e scelta strategica. Il nostro lavoro – di docenti – è innanzitutto “etico”. Dunque, non solo “etica nelle professioni”, ma etica come professione di tutti, mettendo le nostre migliori capacità, conoscenze e competenze al servizio di un rinnovamento etico, culturale, sociale dei contesti in cui viviamo e operiamo”.