Cronaca

Una decina di chiese chiuse e altre danneggiate dal sisma Il nuovo bilancio della Diocesi

Oltre a Cogozzo, Pomponesco, Villa Pasquali e Casalmaggiore Santo Stefano sono chiuse altre sette chiese della diocesi. Casanova d’Offredi (Ca’ d’Andrea) dove si è verificata un’accentuazione delle fessurazioni (interessata anche la canonica), quindi Persico dove si è registrato un peggioramento del quadro fessurativo soprattutto a carico della controfacciata e delle navate laterali, poi S. Omobono a Cremona dove è la facciata che desta le maggiori preoccupazioni. Inagibile a causa di crepe nella facciata e nel lato ovest la chiesa sussidiaria della Trinità a Castelleone, così come la parrocchiale di Cavallara nella quale sono caduti degli stucchi e si è ampliato il quadro fessurativo. Ultima da segnalare è la graziosa chiesa del Carmine di Sabbioneta dove sono state registrate diverse cadute di intonaci e laterizi.

Altre chiese, pur essendo agibili presentano, dei danni non trascurabili come Motta Baluffi (distacco porzione cornice medaglione e peggioramento del quadro fessurativo), Piadena (distacco di alcuni calcinacci a carico della controfacciata e della prima campata lato ovest), Stagno Lombardo (comparsa di fessurazioni a carico dell’arco del presbiterio e della prima lesena lato Nord), Scandolara Ravara (ampliamento del quadro fessurativo con caduta di calcinacci a carico soprattutto della controfacciata e delle cappelle lateriali lato sud), Dosolo (caduta di pinnacoli dalla facciata e di stucchi all’interno) e Villastrada (caduta di stucchi e apertura con enfatizzazione del quadro fessurativo).

E’ il punto fatto dalla Diocesi di Cremona sulle chiese danneggiate dal terremoto del maggio scorso. Un elenco pesante commentato dalle parole preoccupate mons. Achille Bonazzi, responsabile regionale e diocesano per i beni culturali. Impegnatissimo in queste settimane a coordinare i diversi cantieri aperti in diocesi, nei giorni scorsi ha partecipato ad una riunione a Bologna alla presenza di tutti i delegati dei beni culturali delle diocesi interessate al sisma (Bologna, Carpi, Ferrara, Modena, Ravenna, Reggio Emilia, Cremona, Mantova, Rovigo). «All’incontro, coordinato dal delegato nazionale e dal dottor Sozzi della CEI – spiega mons. Bonazzi – è stato fatto un quadro della situazione generale. La diocesi più colpita è quella di Carpi, che attualmente ha solo 3 chiese aperte su 43, col 93% delle strutture parrocchiali lesionate. Ma anche la diocesi di Bologna lamenta 150 chiese lesionate – chiuse solo 3 -. Modena presenta 12 chiese crollate su 50 che sono chiuse; Mantova conta una cinquantina di chiese chiuse, Cremona una decina; Rovigo 3 soltanto. Ancora una volta è bene sottolineare che il terremoto ha toccato Emilia, Lombardia e Veneto e che in Lombardia non solo Mantova è interessata, ma anche Cremona e, parzialmente – 5 chiese lesionate – anche Brescia».

«Nella riunione – prosegue il sacerdote – si è affrontato il problema delle priorità, che è stato così definito: anzitutto la casa per gli abitanti, successivamente la messa in azione della attività produttive, quindi le scuole e  infine i beni culturali, tra cui le chiese. Su quest’ultimo punto la discussione si è vivacizzata, poiché è emerso con chiarezza che è riduttiva la concezione della chiesa come bene culturale. Essa non è un museo da preservare, ma un luogo di celebrazione liturgica: la comunità viene  convocata dal Signore  e proprio in forza  dell’Eucarestia la comunità si realizza e cresce. Per tale motivo è stato chiesto che parte delle risorse raccolte dalla Caritas possano essere utilizzate anche per le chiese».

«Per la nostra realtà, con dieci chiese chiuse e altrettante lesionate gravemente – continua Bonazzi – occorre una mobilitazione generale: è impensabile che le comunità da sole possano far fronte alle spese. Per questo chiediamo l’aiuto di tutti. Anzittutto che si rivedano le percentuali di ripartizione dei fondi ministeriali: all’Emilia andra il 94%, alla Lombardia il 5% e al Veneto l’1%. Sono divisioni che non rispecchiano l’entità dei danni. In secondo serve un intervento della Regione, cosa che è già accaduta in Veneto e infine un aiuto significativo dalla CEI, così come è avvenuto in altre occasioni».

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