Spettacolo

"Giorni muti, notti bianche": il
Covid in uno spettacolo teatrale

In scena infermieri e medici del Pronto Soccorso di Bergamo

“Io odio il teatro, ma più di tutto odio i dilettanti, i non professionisti”. Si apre così “Giorni muti, notti bianche – Il tempo della cura”, andato in scena sabato 15 aprile al Centro Culturale “Aldo Moro” di Orzinuovi (Brescia).

Si tratta di uno spettacolo teatrale che in scena manda professionisti, ma i professionisti del Pronto Soccorso dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Con la regia di Silvia Briozzo e l’accompagnamento musicale di Gianluigi Trovesi e Marco Remondini, i protagonisti sono una ventina di infermieri e medici di uno degli ospedali – e dei territori – più colpiti dal Covid.

Persone, prima ancora che professionisti: i camici vengono idealmente lasciati da parte in apertura, per poi essere ripresi solo a fine spettacolo. Persone che raccolgono le perplessità della gente, che sottostima quanto sta per accadere. Dei 200 accessi giornalieri al PS, ad un certo punto, non c’era più nessuno. “Ridevamo. Pensavamo: pensa se tutti i giorni fossero così”. Ma “il silenzio è così, prima di ogni tempesta”.

Dal primo caso Covid, in un crescendo di intensità drammaturgica, mentre si enumerano tutti i dubbi (“Saremo pronti? Quale terapia faremo? Queste divise ci proteggeranno”) mentre la gente inizia a morire in Pronto Soccorso, “scoppia l’apocalisse”, un “campo di battaglia di barelle”.

In questa apocalisse, mentre tutto sembra cadere e i malati continuano ad arrivare, mentre il materiale sanitario si esaurisce sempre più in fretta, una domanda scandisce quelle dei ricoverati: “Ma è giorno o notte?”. Perché gli operatori sanitari sono condannati a vivere ogni giorno lo stesso giorno: di lavoro, fatica, dolore, sacrificio.

Mentre fuori dall’ospedale iniziano le proteste, dentro, in questo contesto drammatico, fioriscono però le relazioni con i pazienti, a volte basta un gesto – delle brioche, un rosario, un incontro insperato con un figlio -, uno sguardo per connettersi l’un l’altro. Ma si rafforzano anche quelli tra medici e infermieri: un bicchiere di vino, una battuta, una nuova forma di abbraccio.

Toccante il momento in cui viene ripetuto, all’unisono, tutti gli attori-sanitari ripercorrono i gesti del lavaggio delle mani, della vestizione. “Ma non siamo eroi, persone normali”. Perché il tempo della cura viene scandito nella quotidianità e nella professionalità delle persone, ma anche nelle loro emozioni. E in fondo, se in “Giorni muti, notti bianche” c’è (anche) del teatro, c’è soprattutto il ricordo di quanto è stato. E a raccontarlo sono loro, i professionisti.

Mauro Taino

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