Cronaca

I conti in banca di Filosa in città e mazzette cremonesi

Sopra, Alfonso Filosa e gli avvocati Benedetto Ricciardi e Luigi Alibrandi

C’è tanto di Cremona nella storia del processo ad Alfonso Filosa, che si sta celebrando a Piacenza e di cui giovedì si è tenuta l’ultima udienza prima delle ferie estive. Una storia di favori, tangenti, silenzi o soffiate. I conti bancari di Filosa erano a Cremona e diversi imprenditori della nostra provincia gli pagavano le mazzette per informazioni su eventuali ispezioni. Filosa d’altronde è ben conosciuto dalle nostre parti. Responsabile dell’Ispettorato del Lavoro (contemporaneamente ha retto tre sedi, Cremona, Piacenza e Mantova), ha avuto anche un ruolo politico nella maggioranza di centrosinistra (era in quota alla Margherita) andando a presiedere gli Ospizi Riuniti (l’ex Soldi, non ancora Azienda Cremona Solidale) alla fine degli anni Novanta.

LE ACCUSE E L’UDIENZA – Ma, come sta emergendo dal processo, i rapporti di Filosa con aziende ed ambienti della nostra città e della nostra provincia non si sono interrotti con il suo trasferimento al di là del Po. Anzi per certi versi si sono intensificati. Così si è parlato di assegni fatti arrivare in buste, denaro, tanto denaro riconducibile ai conti di Filosa. Generosità? Niente affatto, l’unica ragione delle elargizioni era quella di sapere in anticipo giorno ed ora dei controlli dei carabinieri dell’Ispettorato del Lavoro, così da sistemare tutto ed evitare guai maggiori alle aziende. L’udienza del 28 giugno è stata lunghissima. Imputato l’ex responsabile della Direzione Provinciale del Lavoro di Piacenza, Alfonso Filosa, con una serie di reati pesantissimi di cui dovrà rispondere (corruzione, concussione, rivelazione di segreti d’ufficio) e l’imprenditore milanese Morgan Fumagalli (corruzione). Il clou dell’udienza è stata la deposizione di Pietro Santini, luogotenente del Nucleo Investigativo dei carabinieri di Piacenza, che ha condotto personalmente le indagini. Santini ha ripercorso le tappe della lunga indagine fino al momento del blitz concordato con la Procura di Piacenza. I carabinieri avevano infatti installato telecamere e microfoni nell’ufficio di Filosa, certi di incastrarlo. Quando hanno agito, l’imprenditore Mainardi aveva appena consegnato un assegno di 1500 euro. Era il 24 giugno 2009. La scena venne filmata, i carabinieri presero in consegna imprenditore e direttore dell’Ispettorato e li portarono in caserma.

COSI’ E’ NATA L’INCHIESTA – Il pm Antonio Colonna ha chiesto al luogotenente Santini di conoscere come sono nati i sospetti su Filosa. Il carabiniere ha raccontato che già a fine 2008 un collega dell’Ispettorato del lavoro aveva raccontato di avere l’impressione che alcune aziende fossero state preavvertite delle ispezioni, lo stesso aveva raccontato di aver dubbi anche sullo stesso direttore Filosa in quanto avrebbe consegnato ad una ditta un Durc (documento che certifica la regolarità contributiva) assolutamente falso. Inoltre alcune aziende, dopo essere state pesantemente sanzionate per irregolarità, riaprivano l’attività con altro nome ma con gli stessi dipendenti. Tutte notizie che non potevano che far aprire l’indagine dell’Arma.

I CONTI E LE MAZZETTE CREMONESI – Ma il primo aprile 2009 ecco la prova che i carabinieri cercavano: l’imprenditore milanese Mainardi aveva ricevuto una telefonata che lo allertava sui controlli. L’ispezione avvenne normalmente per non sollevare sospetti ma l’indagine prese una accelerata. Telefonate di Filosa o della figlia ad aziende allertate su prossimi controlli vennero intercettate dall’Arma. Il 24 giugno scattarono gli arresti. Filosa aveva ricevuto da Mainardi, in tre anni, 45mila euro. Risalendo il flusso di denaro, le matrici degli assegni e i conti correnti, i carabinieri scoprirono che Filosa aveva tre conti che movimentavano grandi cifre: uno ad Offanengo, un altro a Cremona città ed uno a Piacenza. Tra il 2006 ed il 2009 Filosa avrebbe ricevuto oltre 100mila euro da tre aziende cremonesi che pagavano i servizi ad una società di consulenza della figlia, di cui il padre era socio. Una società fantasma, inesistente, ha raccontato il luogotenente Santini, perché non aveva una sede, non aveva personale, non aveva uffici operativi. Un’azienda cremonese legata all’agricoltura aveva pagato tre fatture in due anni per 42mila euro, un’altra azienda aveva fornito mobili per oltre 47mila euro. Alcuni imprenditori, poi, si stancavano di pagare, così Filosa interveniva di persona chiedendo di chiudere il rapporto amichevolmente, sempre garantendo di tenerli lontani da guai amministrativi. Interessante è come il rapporto venne chiuso da un macello cremonese: pagando un viaggio a Filosa e consorte negli Stati Uniti, del costo di 6mila euro. Già avevano pagato alla società di consulenza fantasma della figlia di Filosa altri 26mila euro.

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