Non le disse di avere l'Hiv e la infettò
"Interruppe le cure, era contagioso"
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Affetto da Hiv, per un periodo di tempo non si sarebbe sottoposto alle cure e non avrebbe assunto i farmaci. Un comportamento che secondo l’accusa avrebbe favorito la trasmissione del virus alla sua fidanzata, ignara di tutto. Oggi l’imputato, un operaio cremonese di 51 anni finito a processo per lesioni personali gravissime, avrebbe dovuto essere sentito davanti ai giudici del collegio, ma attraverso il suo legale Marilena Gigliotti ha presentato un certificato medico, facendo slittare l’esame al prossimo 28 marzo, data in cui sarà pronunciata anche la sentenza.
Vittima, e parte civile con l’avvocato Alessandro Vezzoni, una 49enne che dopo quattro anni di relazione stabile, dal 2016 al 2020, e un anno di convivenza, il 20 febbraio del 2020 aveva scoperto il segreto del compagno, quando lo aveva accompagnato al pronto soccorso in seguito ad un incidente stradale. Leggendo i referti medici, era venuta a conoscenza che lui si era dichiarato affetto da Hiv. “Lì è iniziato l’incubo”, aveva raccontato la donna, che si era subito sottoposta ad un esame per verificare la sua positività. Il 27 febbraio del 2020 l’esito dei test ha rivelato che anche lei aveva contratto la malattia.
Secondo i consulenti del pm, il medico legale Andrea Verzeletti e l’infettivologo Roberto Stellini, l’uomo avrebbe interrotto le visite o non avrebbe ritirato i farmaci in due intervalli temporali, e cioè tra il marzo del 2017 e il luglio del 2019, e tra la fine di agosto del 2019 e il febbraio del 2020. Una terapia, la sua, che “deve essere costante e somministrata a vita”. Secondo quanto emerso dalla documentazione medica, la prima evidenza di positività al virus dell’imputato risale all’8 maggio del 2010. L’uomo era stato preso in carico dal reparto Infettivi dell’ospedale di Piacenza e iniziato la terapia il 25 maggio del 2012 con “controlli abbastanza regolari e con l’assunzione dei farmaci”.
Dal febbraio-marzo del 2017, però, come spiegato oggi dai due consulenti, non c’erano più evidenze di controlli e di visite. La causa? Un lavoro all’estero, a detta dell’imputato, che il 12 luglio del 2019 si era rifatto vivo, ripresentandosi all’ospedale di Piacenza per una polmonite. Secondo gli esperti, la mancata costanza nella somministrazione delle cure ha avuto l’effetto di aver dato libero accesso al virus. “Senza farmaci, a distanza di 3/6 mesi si ritorna ad essere contagiosi”.
Con la sua fidanzata, l’imputato si era giustificato dicendo di non aver mai trovato il momento giusto per l’affrontare l’argomento, temendo di perderla. “Mi chiedo ancora come fa un essere umano a fare ad un altro essere umano una cosa del genere”, aveva detto lei. “I rapporti tra noi si sono interrotti”, aveva spiegato la donna, che ha iniziato a sottoporsi alle cure per arginare le conseguenze del virus: “ogni 24 ore devo prendere una pastiglia, ogni sei mesi devo fare gli esami del sangue e ho una psicologa che mi segue. Non ho più avuto relazioni perchè non mi fido più di nessuno e non mi va nemmeno di dire ciò che è successo. Lui mi ha rovinato la vita”.
Sara Pizzorni