Chiesa

Benedetto XVI e la Bassa: dall'elogio
di don Mazzolari a musica e ambiente

Un pontefice che, dall’alto della sua fede incrollabile e della sua grande cultura ha avuto, nel tempo, parole importanti, e dense di valori oltre che di significato, per alcuni dei più grandi personaggi della storia dei nostri territori, di qua e di là dal Grande fiume. L’ammirazione e la stima che il papa emerito, Benedetto XVI, aveva per Don Primo Mazzolari e per il maestro Giuseppe Verdi, sono un omaggio ai nostri territori e un patrimonio che non deve essere dimenticato.

Per quanto riguarda Don Primo Mazzolari, val la pena ricordare che nel corso dell’udienza del primo aprile 2009 Benedetto XVI, salutando i fedeli di lingua italiana aveva rivolto un “pensiero speciale” ai rappresentanti della Fondazione Don Primo Mazzolari arrivati di Bozzolo, guidati dall’allora vescovo di Mantova, monsignor Roberto Busti.

L’occasione era quella del cinquantesimo della morte di don Primo Mazzolari e papa Ratzinger aveva definito l’importante anniversario una “occasione opportuna per riscoprirne l’eredità spirituale e promuovere la riflessione sull’attualità del pensiero di un così significativo protagonista del cattolicesimo italiano del Novecento. Auspico – aveva aggiunto – che il suo profilo sacerdotale limpido di alta umanità e di filiale fedeltà al messaggio cristiano e alla Chiesa, possa contribuire a una fervorosa celebrazione dell’Anno Sacerdotale” che aveva preso avvio lo stesso anno.

Benedetto XVI era anche un eccellente musicista ed ecco che è da ricordare , nel 2010, in occasione del concerto offerto dal maestro Enoch Zu Guttenberg aveva detto, parlando della Messa da Requiem di Giuseppe Verdi: “Egli la compose nel 1873, per la morte di Alessandro Manzoni, che ammirava e quasi venerava.

In una lettera si chiede: “Cosa potrei dirvi di Manzoni? Come spiegarvi la sensazione dolcissima, indefinibile, nuova, prodotta in me alla presenza di quel Santo, come voi lo chiamate?”.

Nella mente del grande Compositore, quest’opera doveva essere il culmine e il momento finale della sua produzione musicale; non era solo l’omaggio al grande scrittore, ma anche la risposta ad un’esigenza artistica, interiore e spirituale, che il confronto con la statura umana e cristiana del Manzoni aveva in lui suscitato. Giuseppe Verdi – aveva osservato il papa – ha speso l’esistenza a scrutare il cuore dell’uomo; nelle sue opere ha messo in luce il dramma della condizione umana: con la musica, le storie rappresentate, i vari personaggi.

Il suo teatro è popolato di infelici, di perseguitati, di vittime. In tante pagine della Messa da Requiem riecheggia questa visione tragica dei destini umani: qui tocchiamo la realtà ineluttabile della morte e la questione fondamentale del mondo trascendente, e Verdi, libero dagli elementi della scena, rappresenta, con le sole parole della Liturgia cattolica e con la musica, la gamma dei sentimenti umani davanti al termine della vita: l’angoscia dell’uomo nel confronto con la propria fragile natura, il senso di ribellione davanti alla morte, lo sgomento alle soglie dell’eternità.

Questa musica invita a riflettere sulle realtà ultime, con tutti gli stati d’animo del cuore umano, in una serie di contrasti di forme, toni, coloriti, in cui si alternano momenti drammatici a momenti melodici, segnati da speranza. Giuseppe Verdi – aggiungeva Ratzinger – che, in una famosa lettera all’editore Ricordi, si definiva “un po’ ateo”, scrive questa Messa, che ci appare come un grande appello all’Eterno Padre, nel tentativo di superare il grido della disperazione davanti alla morte, per ritrovare l’anelito di vita che diventa silenziosa e accorata preghiera: “Libera me, Domine”.

Joseph Ratzinger, infine, da cardinale e, in particolare, da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, era stato di persona, nei nostri territori: nel 1998, a Cremona, in occasione dell’Anno di Sant’Omobono proclamato dal compianto vescovo monsignor Giulio Nicolini e, nel 1992, a Fidenza, per la presentazione del “catechismo della Chiesa cattolica” e, in quest’ultima occasione, si era recato anche a Busseto, terra di Verdi, visitando la biblioteca della Fondazione Cariparma e Monte di Credito su pegno di Busseto e la insigne collegiata di san Bartolomeo apostolo nella quale, per altro, si conservano preziose opere d’arte di autori cremonesi.

Senza dimenticare, infine, l’amicizia che per tanti anni lo ha legato al cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna (scomparso nel 2017) nativo di Samboseto di Busseto. Caffarra fu creato cardinale proprio da papa Benedetto XVI nel 2006.

Pagine di storia che legano, in modo particolare, e significativo, papa Benedetto XVI ai nostri territori, di qua e di là dal Grande fiume. Quel fiume che, con tutto il suo ambiente, ha bisogno di attenzione e di grande cura. In questo senso le parole di papa Benedetto XVI devono costituire un patrimonio prezioso per tutti. Val la pena evidenziare infatti che, prima di Papa Francesco, con la sua celebre Enciclica Laudato si’, Benedetto XVI è stato quello che più di ogni altro suo predecessore ha parlato di ambiente ed ecologia, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “Papa verde”.

In tante occasioni ha affrontato questo tema, brevi incisi e discorsi ampi, sviluppando un vero e proprio pensiero unitario. Ripercorrendo gli anni del suo Pontificato, infatti, ci si accorge che non si tratta di interventi episodici o delimitati, ma di una continua riflessione, profonda e coerente, ben evidenziata e raccolta nel libro Per una ecologia dell’uomo di Maria Milvia Morciano edito dalla Libreria Editrice Vaticana nel 2012, con prefazione del Mons. Jean-Louis Bruguès.

“A contatto con la natura – scriveva il pontefice – la persona ritrova la sua giusta dimensione, si riscopre creatura, piccola ma al tempo stesso unica, ‘capace di Dio’ perché interiormente aperta all’Infinito. (…) Percepisce nel mondo circostante l’impronta della bontà, della bellezza e della provvidenza divina e quasi naturalmente si apre alla lode e alla preghiera”.

Amore e stupore per ciò che Dio ha donato agli uomini, luogo di contemplazione e di meditazione nel quale immergersi per ritrovare e sentire la presenza divina. Un luogo dove, come afferma nel discorso pronunciato dinanzi al Parlamento federale nel Reichstag di Berlino nel 2011, poter discernere il bene dal male. E scegliere il bene.

Ratzinger citava continuamente la Genesi quale paradigma della “relazione tra il Creatore, l’essere umano e il creato”. Al centro della creazione c’è l’uomo, l’unico a immagine e somiglianza di Dio, che però non ne è il padrone ma il custode. La creazione è “un dono affidatoci non per la distruzione, ma perché diventi il giardino di Dio e così il giardino dell’uomo”. Ecco quindi il porre l’uomo di fronte a doveri e responsabilità verso il creato che “ha ricevuto perché con esso possa realizzare il disegno di Dio.

Erigendo, però, se stesso al centro dell’universo, dimenticando il mandato del Creatore e chiudendosi in un’egoistica ricerca del proprio benessere, l’essere umano ha gestito l’ambiente in cui vive operando scelte che mettono a rischio la sua stessa esistenza, mentre esso esige rispetto e tutela da parte di tutti quelli che l’abitano. La rivoluzione industriale e le crescenti possibilità tecnologiche di cui può disporre l’uomo hanno determinato uno sfruttamento incontrollato delle risorse naturali con l’illusione che esso sia a piacimento e a tempo indeterminato.

Gli esiti disastrosi di questo sono sotto gli occhi di tutti e il punto di non ritorno è sempre più vicino. La “fame di energia” da parte dei Paesi industrializzati porta a una richiesta pressante che provoca il depauperamento delle risorse e forse il prossimo esaurimento delle stesse. Crea squilibri mondiali sempre più importanti, ed a farne le spese sono le nazioni in via di sviluppo, costrette a svendere le proprie risorse oltre a loro stesse, ma i cui effetti ricadranno a cascata in ogni luogo e su ogni essere umano. “Lo sfruttamento irresponsabile dell’ambiente o l’incetta di risorse agricole o marine riflette un concetto di sviluppo disumano, le cui conseguenze si ripercuotono per lo più sui paesi più poveri”.

Benedetto XVI affermava inoltre che la tecnologia non deve dominare l’uomo, ma essere strumento vantaggioso, da gestire in modo responsabile. Se si crede che l’origine dell’uomo e della natura siano frutto del determinismo evolutivo e non un dono di Dio si attenua nelle coscienze il senso di responsabilità. Le coltivazioni e gli allevamenti intensivi provocano il paradosso di fornire troppo cibo ai Paesi ricchi affamando invece quelli più poveri. Causano desertificazioni e deforestazioni, influiscono sull’inquinamento e sui cambiamenti climatici. Fame, guerre e malattie causano flussi migratori inarrestabili di popoli alla ricerca della sopravvivenza, come li definiva Benedetto XVI, “profughi ambientali”. Uno squilibrio esponenziale che può travolgere il pianeta e i suoi abitanti.

Urgenza denunciata a ripetizione dagli ultimi papi con l’ecologia umana di Giovanni Paolo II, cui è seguita l’ecologia dell’uomo di Benedetto XVI, divenuta ecologia integrale con Papa Francesco. Il loro discorso è simile a radici dello stesso albero in crescita, sempre più profonde e radicate. Il concetto che muove tanta sollecitudine non è un sentimento ecologista di moda, ma una necessità impellente e urgente. È la difesa della vita, perché tutto è in relazione e la vita umana dipende dalla vita dell’universo, ma è anche cardine del mandato cristiano. Nella “Caritas in Veritate” e nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2010, Benedetto XVI affermava che se si vuol coltivare la pace è necessario custodire il creato.

“Lo sviluppo umano integrale è strettamente collegato ai doveri del rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale, il cui uso comporta una comune responsabilità verso l’umanità intera e specialmente i poveri e le generazioni future… La crisi ecologica non può essere valutata separatamente dalle questioni a essa collegate, essendo fortemente connessa al concetto stesso di sviluppo e alla visione dell’uomo e delle sue relazioni con i suoi simili e con il creato. Saggio è, pertanto, operare una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, nonché riflettere sul senso dell’economia e dei suoi fini, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni. Lo esige lo stato di salute ecologica del pianeta; lo richiede anche e soprattutto la crisi culturale e morale dell’uomo, i cui sintomi sono da tempo evidenti in ogni parte del mondo”.

Benedetto XVI individuava giustamente nella responsabilità storica dei Paesi industrializzati la causa della crisi ecologica e non mancava di chiamare in causa il comportamento di ognuno di noi, affinché ciascuno cambi il proprio stile di vita e di consumo e lo impronti a una maggiore sobrietà.

Anche la Chiesa, evidenziava, è chiamata a fare la sua parte dal momento che “ha una responsabilità per il creato e sente di doverla esercitare, anche in ambito pubblico, per difendere la terra, l’acqua e l’aria, doni di Dio Creatore per tutti, e, anzitutto, per proteggere l’uomo contro il pericolo della distruzione di se stesso”. Il degrado della natura è, infatti, strettamente connesso alla “cultura che modella la convivenza umana, per cui quando “l’ecologia umana” è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio”.

Dunque la soluzione parte da quella che San Giovanni Paolo II chiama “nuova solidarietà” e che il Papa Ratzinger definiva “solidarietà globale” che è anche un termine chiave della Laudato si’ di Papa Francesco. Come spiegava ancora Benedetto XVI, il “libro della natura è unico, sia sul versante dell’ambiente come su quello dell’etica personale, familiare e sociale”. Di tutto questo se ne tenga conto anche quando, più localmente, ci si occupa, a vario titolo e in diversi modi, anche nei comportamenti individuali e quotidiani di ciascuno di noi, dal momento che ognuno, nessuno escluso, è chiamato all’impegno concreto verso la custodia del Creato.

Eremita del Po, Paolo Panni

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