La Traviata transgender divide
il pubblico del Ponchielli
Una Traviata che voleva scuotere lo spettatore e così è stata quella che ieri sera al Ponchielli ha portato in scena una Violetta Valery in versione transgender. Le note di regia di Luca Baracchini già lasciavano intendere l’intenzione di rileggere il libretto di Piave musicato da Giuseppe Verdi, per rendere “la poltrona un po’ meno comoda. Vorrei che smettessimo di accontentarci di un epilogo retorico e moralmente accomodante, in cui una “Maddalena” redenta ascende al cielo come una pudica vergine”.
Più applausi che fischi (anche se molto rumorosi) dal pubblico, per questa versione molto moderna coprodotta dai Teatri di OperaLombardia e Fondazione Rete Lirica delle Marche, in alcuni punti un po’ azzardata come nella Danza delle Zingarelle, ambientata in una discoteca dove la festa è diventata un festino “bondage” con maschere e frustini. Una versione provocatoria dell’opera che raggiunto il suo scopo, far riflettere il pubblico sulle questioni di genere.
A parte i fischi dei puristi, alla fine sono arrivati gli applausi sia per la messa in scena, che per gli interpreti (nel ruolo di Violetta Francesca Sassu e Cristin Arsenova), che per il coro di Opera Lombardia diretto da Massimo Fiocchi Malaspina e per l’orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano.
D’altra parte a spiegare il senso di questa produzione è lo stesso Baracchini nelle note di regia: “Se Traviata è viva, oggi come centosettant’anni fa, chi vi assiste deve provare la contraddizione fra un pregiudizio che l’accompagna e un racconto che lo mette a nudo, davanti all’essere umano. Non c’è nella morte finale nulla di edificante, né di romantico, ma solo uno specchio crudele e desolante; non c’è un dramma borghese della comune morale, ma una tragedia intima dell’essere umano, “malato” di pregiudizio al punto di farne egli stesso opinione di sé. Violetta non muore rivendicando orgogliosamente la propria identità, ma incarnando quell’aspettativa sterile e ipocrita che le ha rovinato l’esistenza; si strugge ma non combatte, pare quasi alla ricerca di un meritato martirio che la riscatti dalla colpa. Decidi tu, amico Spettatore, se una colpa esiste o esiste solamente un pregiudizio che siede in poltrona insieme a noi”.
Rivista anche la partitura musicale da parte del direttore d’orchestra Enrico Lombardi. Paragonando arie arcinote come “Amami, Alfredo” o “Libiamo ne’ lieti calici” agli incipit di opere letterarie come la Divina Commedia o I Promessi Sposti, Lombardi decide di “illuminare davvero i numerosi dettagli, i piccoli preziosismi scritti – o se vogliamo, i “colori” – di questo grande quadro. E forse potremmo scoprire che, contrariamente a quanto si dice di solito, La traviata non soltanto “si sa”, ma si può anche (ri)studiare”.