Cronaca

Brancere, emergono altri reperti dal
Po. Le mura della vecchia chiesa?

Al confine tra le province di Cremona, Piacenza e Parma sono riemerse mura di importanti dimensioni, all’altezza dello spiaggione che sorge in sponda sinistra, di fronte all’oasi di Isola Giarola di Villanova sull’Arda ed alla foce del torrente Ongina. Viaggio a ritroso nel tempo dell'Eremita del Po Paolo Panni.

Dal letto del Grande fiume riemergono i resti della vecchia chiesa di Brancere? Il punto di domanda è assolutamente d’obbligo, ma è anche ricco di fascino e di mistero. Il fiume è in magra eccezionale, a Cremona si assesta abbondantemente oltre gli 8 metri e mezzo sotto lo zero idrometrico e, in queste condizioni, mostra ovviamente paesaggi, curiosità e sorprese mai riemerse prima d’ora.

Da alcuni giorni, proprio al confine tra le province di Cremona, Piacenza e Parma, all’altezza dello spiaggione che sorge in sponda sinistra a ridosso dell’area occupata dall’azienda faunistico venatoria Isola Gerola di Stagno Lombardo, di fronte all’oasi di Isola Giarola di Villanova sull’Arda ed alla foce del torrente Ongina, sono riemerse mura di importanti dimensioni, con secoli di storia alle spalle (come si può notare facilmente anche dall’impasto e dal tipo di mattoni).

Di cosa si tratta? Difficile, almeno per ora, dare una risposta definitiva. Se, in un primo momento si poteva pensare alle mura di Polesine di San Vito, bisogna ricordare che l’antico borgo “divorato” da secoli dal Po sorgeva più a valle ed è impensabile, oltre che impossibile che le mura abbiamo effettuato il “cammino” a ritroso. E’ vero che negli anni Ottanta un palombaro venne inviato a far esplodere i resti delle mura di Polesine di San Vito in quanto erano di ostacolo (e pericolo) al transito delle bettoline. Ma i resti vennero spostati sulla massicciata in riva sinistra di Po, sempre più a valle rispetto alle rovine riemerse in questi giorni.

L’ipotesi di una ulteriore traccia di Polesine di San Vito sarebbe dunque da scartare mentre prende piede una possibilità molto più concreta: quella secondo cui le mura in questione potrebbero appartenere alla vecchia chiesa di Brancere. Come si può leggere anche sul sito della parrocchia di Stagno Lombardo, grazie alle memorie lasciate da don Remo Caraffini, “rispolverate” e valorizzate dall’attuale parroco don Pierluigi Vei, nel 1756 l’antica chiesa del Real Ordine Costantiniano o Costantinopoliano della Steccata di Parma era costruita nei pressi di San Giuliano/Soarza e, a causa dell’inondazione del Po di quell’anno, venne abbandonata e finì per essere distrutta.

Che si tratti dunque delle mura della chiesa esistita fino al 1756? L’interrogativo è affascinante; la possibilità è plausibile. Sempre nelle memorie di don Caraffini si rileva che nel 1801 un’altra grande alluvione allagò la chiesa rimanendovi per 22 giorni e cinque anni più tardi di nuovo il Po sommerse il “nuovo” cimitero benedetto nel 1791 rendendo inservibili chiesa e canonica. Il territorio di Brancere, come altri vicini dell’Emilia Romagna (in particolare quelli di Olza, Castelletto, Tinazzo e Marianne) subì, nel corso del tempo, i pesanti effetti delle erosioni operate dal Grande fiume.

Nel 1813 una nuova chiesa fu costruita, con annessi cimitero e casa parrocchiale, oltre l’argine maestro, grazie alla donazione dell’avvocato Coppini, proprietario della Cascina Rondanina, su disegno dell’architetto cremonese Domenico Voghera (fratello del più famoso architetto Luigi) e venne consacrata il 2 maggio 1813, con asse della chiesa in direzione Nord-Sud e facciata rivolta a Sud. Nel 1867 la chiesa subì importanti lavori ma solo un anno più tardi, nel 1868, subì una nuova inondazione del Po con le acque che si ritirarono solo sei giorni dopo. In quello stesso anno venne definitivamente soppresso il Comune di Brancere, inglobato in quello di Stagno Lombardo.

Tra le inondazioni che colpirono il paese e i suoi edifici sacri, da ricordare anche quelle del 1801, 1806, 1917 e 1926, ma anche quella del 1833. A quest’ultima è legato il quadro miracoloso del “Nazareno” (che si conserva in parrocchia) accompagnato anche dalle annotazioni autografe del parroco dell’epoca che parla di tre miracoli e ne evidenzia la storia. A riguardo, in quaderni dell’Archivio Parrocchiale, don Remo Caraffini trascrive una nota del Parroco del 1870: “Nell’anno 1833 il fiume Po ingoiò varie possessioni che si trovavano in prossimità al fiume. Confinante con queste vi era anche quella del Conte Prosperi Tedeschi Baldini, di Piacenza, proprietario della cascina Ferrara. Uomo molto religioso fece un voto implorando che venisse risparmiata la sua ed essendo stata di fatto preservata la sua terra con la sua cascina, soddisfece al voto fatto facendo dipingere un artistico quadro rappresentante la Sacra Immagine di Gesù Nazareno, riscattata dai Padri Scapolari dalle mani dei Barbari Mori e Maomettani nella città di Fez in Africa [Marocco] e lo donò alla chiesa di Brancere e lo fece collocare sull’altare di S.Antonio di Padova nel giorno 15 di Settembre del 1833, giorno di domenica, in cui venne benedetta la Sacra Immagine, che ancora è lievito fermentatore di vita morale e religiosa in questa popolazione rurale.“
Tornando alle mura riemerse in questi giorni, va ribadito, la possibilità che possano essere della vecchia chiesa di Brancere è sicuramente plausibile e sarebbe interessante (oltre che importante) cogliere l’occasione per effettuare, con gli idonei strumenti, indagini e verifiche analitiche in grado di fornire elementi in più sulla storia di quelle rovine. Rovine che, chi scrive queste righe, ha avuto la possibilità di visitare, in rigoroso e doveroso silenzio, grazie alla guida preziosa di Tommaso Mazzeo, esperto conoscitore del fiume ed appassionato di storia del fiume e del territorio.

Come scritto più volte, il fiume è un “libro di storia” aperto per tutti coloro che intendono conoscere e approfondire questi temi. Anche per questo motivo va percorso, in cammino, lungo gli spiaggioni in religioso silenzio, per il rispetto di tutti coloro che ci hanno preceduti, oggi ricordati dalle tante testimonianze storiche, piccole e grandi, che riemergono dagli spiaggioni stessi.

Ma su quelle rovine le ipotesi non si esauriscono qui. Un’altra affascinante e carica di mistero riguarda la possibilità che possa trattarsi dei resti di Vacomare, antico borgo scomparso da secoli, totalmente eroso dal Po, in cui sorgeva uno Xenodochio (vale a dire una struttura di appoggio ai viaggi nel Medioevo, adibito a ospizio per pellegrini e forestieri) con chiesa intitolata a Santa Maria di Spineta. Chiesa e xenodochio di cui da tempo (come del resto del borgo) si sono perse le tracce . Di Vacomare, della chiesa di Santa Maria di Spineta e dello Xenodochio si parla diffusamente nei libri della collana “Nelle terre dei Pallavicino” del compianto professor Carlo Soliani, insigne studioso di storia dei nostri territori, autore di importanti pubblicazioni. In un atto del 1334, Matteo Da Segalaria, sacerdote di Parma e titolare di un beneficio nella chiesa di Pieveottoville, per incarico del vescovo di Cremona, Ugolino di San Marco, inserì nel possesso dell’ospedale di Santa Maria di Spineta, situato appunto in Vacomare, e dei relativi diritti spirituali, Antonio Riccardi di Crema, precedentemente eletto rettore e amministratore del medesimo ospedale dallo stesso vescovo mediante investitura ad anello aureo. Nel 1336, invece, Pietro Giovanni Tagliabuoi donò ai frati del Consorzio dello Spirito Santo di Cremona una pezza di terra di due pertiche, coltivata a viti, posta nel territorio di Santa Croce Oltre Po, in località Vacomare (con atto notarile firmato da Corrado Lacma). Nel 1358 la signorina Agnesina, figlia del fu Antonio Bottioni detto “Inthocus”, legò agli stessi frati del Consorzio dello Spirito Santo di Cremona, due pezze di terra, una delle quali in località Vacomare. Altri atti relativi a terreni di Vacomare risalgono agli 1361, 1367, 1371, 1374 e 1376. E’ inoltre ceto che lo Xenodochio esisteva ancora nel 1385 e pagava all’Episcopio di Cremona il censo di “Libram unam cere nove”. Interessante anche un atto del novembre 1458 in cui Cabrino, Galeotto, Duxino Sommi, a proprio nome ed anche a nome di Aimerico, Cristoforo e Giorgio Sommi, chiedono il rinnovo dell’investitura dei feudi ai loro antecessori, e in particolare di Pieveottoville con i relativi diritti di riscossione delle decime nei luoghi di Parasacco, Zibello, Isola Guidoni, Vacomare, Po Morto, Saliceta, Ardola di Altavilla, Isolello e Carpaneta, a Giovanni Maria Imerici di Ferrara, luogotenente di Bernardo Rossi, eletto amministratore dell’episcopio e futuro vescovo di Cremona, e a don Filippo Schelini, vicario del suddetto vescovo.

Meno probabile, ma comunque plausibile, e affascinante, la possibilità che le rovine riemerse possano appartenere alla scomparsa Vacomare oppure, perché no, alle località, altrettanto scomparse, di Ripavetere e di Campomascolo.

Tutte ipotesi affascinanti, in cui storia e mistero si fondono, con la speranza, chissà, che qualche verifica possa dare risposte in più sulla “paternità” di quelle rovine.
Infine, tornando di nuovo a parlare di Brancere, borgo le cui vicende sono da sempre legate al fiume, va detto che la parrocchia fino al 1820 apparteneva alla diocesi emiliana di Fidenza. Come ricorda anche Dario Soresina nella sua “Enciclopedia Diocesana Fidentina”, nell’Oltrepò cremonese, ma nei limiti della parrocchia di Soarza, esisteva in passato un pubblico oratorio dedicato all’Ascensione di Nostro Signore, che era di ragione e di patronato dell’Ospedale della Misericordia di Cortemaggiore. Per aderire al desiderio della popolazione, motivato dalla distanza dalla chiesa parrocchiale di Soarza, per raggiungere la quale i fedeli erano costretti a traghettare il Po (con disagi e pericoli per la loro incolumit), il vescovo diocesano monsignor Adriano Sermattei, con decreto del 16 marzo 1714, erigeva Brancere in parrocchia, scorporandola totalmente da Soarza e gli abitanti, per l’acquistata autonomia, si impegnarono a provvedere il loro paese di una nuova chiesa, di arredarla e di dotarla del necessario.Con altro decreto con la stessa data e messo agli atti dal notaio Micheli, il vescovo Sermattei nominò il primo parroco nella persona del sacerdote don Rinaldo Ferrari e la parrocchia fu inclusa nel vicariato foraneo di Villanova sull’Arda. Tuttavia rimanevano insoluti altri problemi di carattere giurisdizionale, visto che Brancere, nettamente staccata dalla diocesi fidentina, gravitava totalmente su Cremona ed i centri cremonesi vicini. Così, per quasi un secolo, la parrocchia fu considerata quasi un’entità a sé stante, nella quale usi e costumi si differenziavano da quelli delle parrocchie più prossime della diocesi di Fidenza. Per queste ragioni il vescovo monsignor Luigi Sanvitale, in virtù delle lettere apostoliche di papa Pio VII date in Roma il 16 febbraio 1819, con atto del 23 settembre 1820, rimise la giurisdizione spirituale di Brancere al vescovo di Cremona. Al primo parroco don Rinaldo Ferrari fu conferito il titolo di rettore, mantenuto dai suoi successori sino al momento in cui Brancere fu annesso alla diocesi di Cremona. I successori di don Ferrari furono don Giovanni Maria Bercini che guidò la parrocchia dal 1727 al 1764, don Antonio Gambara che fu parroco dal 1764 al 1774, don Giacomo Carrara dal 1774 al 1790 (passò poi canonico a Busseto) e don Giuseppe Verdelli, parroco dal 1790 al 1820.

Eremita del Po, Paolo Panni

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