Mosca, i colleghi: "Su di lui solo
gossip. Contro il Covid ha dato tutto"
L'intercettazione tra Mosca e un'infermiera:
"Agli inquirenti dite la verità"
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Terza udienza, in Corte d’Assise a Brescia, del processo a Carlo Mosca, 47 anni, originario di Persico Dosimo, ex primario del pronto soccorso dell’ospedale di Montichiari, arrestato nel gennaio dell’anno scorso per omicidio volontario plurimo per aver iniettato farmaci, risultati letali, a tre pazienti affetti da Covid nelle primissime fasi dell’emergenza pandemica. Mosca è ai domiciliari dal 25 gennaio dell’anno scorso.
Oggi hanno sfilato altri testimoni chiamati dal pm Federica Ceschi, che accusa l’imputato di aver somministrato a Natale Bassi, 61enne di Ghedi, Angelo Paletti, 79enne di Calvisano, e ad Ernesto Nicolosi, 80enne di Carpenedolo, Succinilcolina e Propofol, farmaci incompatibili in assenza di intubazione, in quanto inducono il blocco dei muscoli, e se somministrati ad un degente da non intubare, questi va in arresto respiratorio e muore.
Tra coloro che sono stati sentiti c’è Monia, operatrice socio sanitaria, che ha ammesso di aver sentito nominare il farmaco Succinilcolina nella sala d’urgenza sul paziente Natale Bassi. “Probabilmente è stato il dottor Mosca a nominarlo, ma non ne sono sicura”, ha detto la testimone. L’operatrice sanitaria ha poi smentito le dichiarazioni rese da Michele Rigo, l’infermiere che l’aveva tirata in ballo, dicendo che lei gli aveva riferito di essere stata presente quando nella stanza era stata portata la Succinilcolina. “Per me Mosca è un bravissimo medico, corretto, onesto e umile”. Su quanto riportato dalla testimone, il medico ha ammesso di aver chiesto quel farmaco. “La mia intenzione”, ha spiegato Mosca a margine dell’udienza, “era quella di intubarlo perché pensavo che il paziente fosse appena arrivato. Invece, quando mi mi hanno detto che era lì dalla sera prima e che gli avevano già somministrato ossigeno e morfina, il farmaco non è stato utilizzato”.
In aula è stata sentita anche la testimonianza di Luisa, medico del pronto soccorso dell’ospedale di Montichiari. “In quei momenti concitati si discuteva sul tipo di terapia da adottare. Il Covid non lo conoscevamo e non c’erano protocolli. Facevamo delle scelte che si condividevano con l’anestesista. La decisione di intubare un paziente poteva prenderla anche il dottor Mosca. L’ossigeno si dava a tutti e si utilizzavano farmaci per tollerare il fatto di indossare le maschere di ossigeno e per cercare di togliere ansia. Purtroppo c’erano pazienti che sviluppavano embolia polmonare e noi non lo sapevamo, e dunque c’era chi moriva all’improvviso”. “Le voci che Mosca utilizzasse la Succinilcolina mi sono sembrate assurde”, ha detto la testimone. “Mere chiacchiere di corridoio”.
A denunciare il primario, il 23 aprile del 2020, era stato l’infermiere Michele Rigo, che il 18 marzo aveva risposto ad una telefonata di Mosca che gli avrebbe chiesto di somministrare ad un paziente due fiale di Succinilcolina. “Sono rimasto stupito”, aveva raccontato l’infermiere, “perchè questo paziente non doveva essere intubato”.
Per Mosca, però, Rigo non avrebbe capito. “Io ho chiesto della morfina, non la Succinilcolina”, sostiene l’ex primario. Di quella telefonata con Mosca, Michele Rigo aveva parlato con alcuni colleghi, tra cui Massimo Bonettini, e da lì era partito un tam tam di messaggi e telefonate. “Un gossip su di me”, lo ha definito l’imputato. “Potrebbe esserci stato un equivoco”, aveva ammesso durante la scorsa udienza Simone Collura, ex medico di guardia, oggi dirigente medico all’Ats di Brescia. Collura aveva detto di non aver assistito a quella telefonata, smentendo quanto dichiarato dall’infermiere.
Per Sabina, medico d’urgenza al pronto soccorso, “Mosca è un medico pratico, molto interventista. Ognuno ha il suo modo di lavorare, l’importante è che si operi per il bene del paziente. Mosca ha lavorato tanto, ha dato tutto quello che poteva dare, era sempre presente”. “La prima voce su di lui”, ha ricordato la teste, “l’ho sentita da Bonettini che per il giorno dopo era stato convocato dai Nas. ‘Come hanno fatto, secondo te, a morire così velocemente tante persone’, mi aveva chiesto, facendomi intendere che la cosa avesse a che fare con Mosca. Io ho sgranato gli occhi e ho fatto cadere la cosa”.
Un altro testimone sentito è stato Marco, infermiere. “Con Bonettini non andavo d’accordo perchè so che parlava male di me alle mie spalle, mentre con Rigo ho lavorato pochissimo”. Anche Marco aveva sentito girare la voce che Mosca uccidesse i pazienti. “Per me”, ha precisato il teste, “Mosca era un punto di riferimento”.
Della genesi dell’inchiesta ha invece parlato il maresciallo maggiore del Nas di Brescia Cesare Marchini, che ha raccontato dei primi sopralluoghi effettuati dopo l’esposto di Rigo, dell’acquisizione delle cartelle cliniche di tutti i pazienti morti nel mese di marzo, complessivamente dieci, della riesumazione di tre dei pazienti deceduti e delle prime informazioni testimoniali di medici ed infermieri ai quali era stata chiesta riservatezza in merito ai colloqui con gli inquirenti. Invece non era stato così: dalle intercettazioni telefoniche era emerso che avevano parlato tra di loro degli interrogatori. Si era quindi deciso di posizionare un registratore nell’area “fumo”, zona in cui i sanitari si ritrovavano per consumare cibo o per fumare e dove avevano parlato delle indagini in corso. In una delle intercettazioni telefoniche tra Mosca e un’infermiera, il medico aveva chiesto di dire la verità.
In aula si è parlato anche del tema delle fiale dei due farmaci e delle presunte anomalie relative alla mancanza di dieci fiale. Un numero, però, che, come ha fatto notare la difesa, sarebbe sproporzionato perchè calcolato in un lasso di tempo più ampio rispetto ai mesi dell’inizio della pandemia. Nel solo mese di marzo 2020, le fiale mancanti sarebbero la metà.
Si torna in aula il prossimo 14 marzo.
Sara Pizzorni