Presidente Tribunale Palermo: “Mattarella omicidio politico-mafioso, ora la verità”
“Il contesto in cui matura l’omicidio di Piersanti Mattarella merita di essere oggetto di una riflessione storica approfondita. Il 2022 è un anno importante, in cui ricorderemo il 30esimo anniversario delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, ma anche il 40simo anniversario dell’omicidio Dalla Chiesa. Spero che sia un anno in cui l’affermazione del diritto alla verità faccia dei passi significativi. È un compito che spetta anche alla magistratura ma è interesse dell’intera collettività”. A parlare in una intervista esclusiva all’Adnkronos è il Presidente del Tribunale di Palermo, Antonio Balsamo, alla vigilia del 42esimo anniversario dell’omicidio del Presidente della Regione siciliana avvenuto il 6 gennaio del 1980 a Palermo.
Sull’omicidio di Piersanti Mattarella, per Antonio Balsamo, “ci sono state nel corso del tempo impostazioni molto diverse tra di loro”. “Una prima impostazione, che sostanzialmente era stata elaborata da Giovanni Falcone e che poi è stata sviluppata nell’ordinanza-sentenza di rinvio a giudizio del giudice istruttore Gioacchino Natoli nel 1991, che aveva ipotizzato una sinergia, ed una convergenza di interessi, tra criminalità organizzata di tipo mafioso a ambienti terroristici – spiega Balsamo – Questa impostazione aveva dalla sua non solo la individuazione di un quadro probatorio complessivo, ma anche il riconoscimento fatto dalla signora Irma Chiazzese nei confronti del killer che aveva assassinato il marito, quindi una scena che di regola rimane scolpita nella memoria. In realtà, questa impostazione da parte di Giovanni Falcone era estremamente articolata. Diceva che si trattava di omicidi di matrice mafiosa ma il movente non era esclusivamente mafioso. Diceva che c’erano degli indizi a carico di esponenti della destra eversiva, e che quindi – sono parole di Falcone nel corso della sua audizione del 3 novembre 1988 davanti alla Commissione parlamentare antimafia – «si tratta di capire se e in quale misura “la pista nera” sia alternativa rispetto a quella mafiosa, oppure si compenetri con quella mafiosa. Il che potrebbe significare altre saldature e soprattutto la necessità di rifare la storia di certe vicende del nostro Paese, anche da tempi assai lontani»”.
“Se si va a vedere l’ordinanza-sentenza del giudice istruttore Natoli, del 9 giugno 1991, in effetti c’è uno scenario interessantissimo che viene delineato. Perché, appunto, si dice che l’omicidio Mattarella viene attuato in virtù di un pactum sceleris tra esponenti della Destra eversiva e Cosa nostra – avverte il Presidente del Tribunale – e che questa alleanza criminosa può apparire singolare soltanto ad una osservazione superficiale. Perché risultano non occasionali e articolati rapporti tra ambienti del terrorismo nero, della criminalità di tipo mafioso e della criminalità politico-economica. In buona sostanza, viene tracciato il quadro di un omicidio politico-mafioso. Questa impostazione di fondo non viene sviluppata ulteriormente sul piano dell’esito decisorio dalla sentenza emessa in primo grado, che però contiene degli elementi interessanti. Da un lato viene assolto Giusva Fioravanti, che è il soggetto riconosciuto come killer dalla signora Irma Mattarella. Quindi, l’epilogo del giudizio di primo grado, poi confermato in appello e in cassazione, non è coerente con l’impostazione dell’ordinanza-sentenza del giudice istruttore sotto il profilo del riconoscimento della responsabilità individuale. Ma attenzione che il complessivo quadro che viene tracciato è comunque di grande interesse. Perché si parla in questo caso di terrorismo mafioso”.
E ancora: “Prendendo spunto da alcune dichiarazioni contenute nella sentenza del maxiprocesso si spiega che ci sono in maniera incontestabile, già prima del 1980, soprattutto a Roma, contatti e rapporti significativi e continui nel tempo tra esponenti della criminalità comune, terroristi di estrema destra e uomini di Cosa nostra, come in particolare Pippo Calò che nel frattempo viene condannato per la strage sul rapido 904. In questa sentenza è spiegato che Calò è un elemento di collegamento tra il potere mafioso ed ambienti eversivi di destra”,
“Quindi, il quadro che sta sullo sfondo della sentenza del 12 aprile 1995 della Corte d’assise di Palermo conferma l’esistenza di questi rapporti”, dice Balsamo. “L’aspetto nuovo su cui vale la pena riaprire una discussione, quanto meno sul piano storico, è la sentenza emessa il 9 gennaio 2020 dalla Corte d’Assise di Bologna a conclusione del giudizio di primo grado nei confronti di Gilberto Cavallini sulla strage di Bologna”, spiega ancora il Presidente del Tribunale.
Una pronuncia recente. “Ovviamente è una sentenza di primo grado – dice – il giudizio di appello è stato rinviato al 2023, quindi non è una vicenda su cui ci sarà certezza processuale in tempi brevi. Nella sentenza ci sono una serie di indicazioni di grandissimo interesse che richiamano in maniera puntuale l’impostazione data all’origine da Giovanni Falcone, e poi ulteriormente sviluppata dal giudice istruttore Gioacchino Natoli. Nella stessa sentenza si richiama l’audizione fatta da Giovanni Falcone davanti alla Commissione antimafia. Questa audizione viene considerata come il testamento, il ‘lascito civile’ di Giovanni Falcone”. E il magistrato cita una parte della sentenza in cui emerge che l’omicidio di Piersanti Mattarella “non è stato solo un omicidio di mafia ma anche un omicidio politico”, maturato in un contesto che comprendeva convergenze operative tra mafia e ‘antistato’. “Questa indicazione è la conclusione di un ragionamento molto articolato che viene fatto – dice ancora il Presidente del Tribunale di Palermo – Ci sono una serie di elementi ulteriori che vengono presi in considerazione dalla Corte d’assise di Bologna” – spiega – “c’è poi una tematica molto più ampia, che forma oggetto della sentenza e comprende le questioni sul ruolo di Pippo Calò, di cui si parla”. “In sostanza viene recepita l’impostazione che aveva dato il giudice istruttore di Palermo nel 1991”.
“Io ho notato che in effetti l’impostazione che è alla base di questi ultimi sviluppi processuali è largamente coerente con la visione che all’inizio dell’indagine sull’omicidio Mattarella era stata data dai protagonisti della storia di quel periodo – aggiunge Balsamo – Il commento del cardinale di Palermo Salvatore Pappalardo che nell’omelia del funerale di Piersanti Mattarella dice che oltre alla mafia ‘ci devono essere anche altre forze occulte’. Oppure, Pio La Torre, che subito dopo l’assassinio fa un parallelo tra l’omicidio Mattarella e l’omicidio di Aldo Moro, parlando di una ‘analogia politica impressionante’. E poi dice che l’attentato ‘avviene mentre a Palermo avvengono alcuni fatti sconvolgenti’. ‘Siamo di fronte a una scalata terroristica che colpisce sempre più in alto’. La Torre parla di ‘convergenza obiettiva tra mafia e terrorismo’. Particolarmente interessante è poi il commento che fa Pio La Torre nel momento in cui presenta la sua proposta destinata poi a divenire la legge Rognoni-La Torre. Il 6 marzo 1980, quando annuncia in Parlamento la proposta di legge dice: ‘Nel quadro della involuzione politica nazionale verificatasi dopo l’omicidio di Aldo Moro la mafia, specialmente in Sicilia, diventa più sfrontata, sfida sempre più apertamente lo Stato democratico, mutando anche i metodi del terrorismo politico. Ci troviamo oggi di fronte ad una convergenza, ad un intreccio di rapporti. Si tratta di capire fino in fondo come si svolgono certe trame e che cosa ci sia dietro di esse’. E’ molto interessante notare che proprio questo termine, cioè ‘convergenza’, viene usato nell’ordinanza-sentenza del giudice istruttore, secondo cui «è lecito supporre che si sia verificata una deliberata convergenza di interessi, rientranti tra le finalità terroristico-intimidatrici dell’organizzazione ed interessi connessi alla gestione della “cosa pubblica”».
Quindi per Antonio Balsamo “è come se in questa fase si riprendessero queste impostazioni di fondo che avevano formato oggetto, da un lato dell’attività giudiziaria di Giovanni Falcone e dall’altro della visione che era stata proposta all’indomani dell’omicidio Mattarella. Ciò è legato a un tema più generale, relativo alla statura politica di Piersanti Mattarella per il tipo di politica che porta avanti. Si impegna a promuovere per la Sicilia una prospettiva completamente diversa di quella che si stava realizzando in quegli anni. Sono anni in cui da parte di cosa nostra c’è stato il disegno di considerare la Sicilia come un crocevia del traffico internazionale di stupefacenti. In quello stesso momento Piersanti Mattarella si impegna per costruire un futuro completamente diverso, con un modello di sviluppo moderno. Il futuro di una Sicilia con le carte in regola, che non è solo una proclamazione ideale. Ma è anche un intervento estremamente incisivo nel campo degli appalti pubblici, nel segno dell’affermazione della legalità”. “Proprio nell’ambito degli appalti pubblici – dice Balsamo – si realizzavano alcuni dei principali canali di riciclaggio. In quel periodo Cosa nostra era impegnatissima nel mondo dell’edilizia e degli appalti, che costituivano straordinari canali di riciclaggio di proventi illeciti e di affermazione della imprenditoria mafiosa”.
“Uno degli aspetti significativi che è stato a volte sottovalutato è il fatto che Piersanti Mattarella in quel periodo storico diventa uno degli interlocutori privilegiati delle più alte istituzioni italiane ed europee, rappresenta una alternativa totale rispetto a questa drammatica involuzione della Sicilia che era al centro delle strategie mafiose. Piersanti Mattarella aveva assunto una statura politica che aveva modificato completamente la considerazione della Sicilia nel contesto nazionale e internazionale creando una serie di sinergie con persone come il Presidente della Repubblica Sandro Pertini e con il Presidente della Commissione europea, Roy Jenkins. Uno dei discorsi più significativi di Piersanti Mattarella fu fatto proprio in occasione della visita del Presidente della Commissione europea a Palazzo d’Orleans, il 6 settembre 1979. Quindi, in sostanza, questa visione internazionale del ruolo della Sicilia attraverso un rafforzamento della legalità in tutte le attività pubbliche, proprio nella fase in cui c’è una evoluzione di Cosa nostra verso il ruolo di protagonista del narcotraffico internazionale, crea una evidente situazione di conflitto tra due opposte linee di tendenza. Senza dubbio è uno degli scenari in cui si può collocare l’omicidio Mattarella”. “Non è un caso che dopo pochi mesi Pio La Torre propose la legge Rognoni-La Torre – aggiunge Antonio Balsamo – per combattere quella dimensione economica della criminalità organizzata che era anche al centro dell’impegno di contrasto da parte di Piersanti Mattarella. Tutto questo scenario storico, a sua volta, può essere letto in un quadro più ampio. Non a caso Giovanni Falcone era del tutto contrario alle visioni di Cosa nostra in senso riduttivo, come se fosse una monade chiusa in sé stessa, e puntava gli occhi su un intero sistema di potere fondato sulle complicità mafiose. Cosa nostra per Falcone era legata a tutti gli avvenimenti più importanti della vita siciliana”.
“Questa visione particolarmente profonda di Falcone, fa venire in mente un altro evento che a sua volta presenta tuttora degli aspetti che sarebbero meritevoli di approfondimenti: il fallito attentato all’Addaura – dice Antonio Balsamo – si verifica nel momento in cui si sta realizzando una collaborazione stretta con l’autorità giudiziaria della Svizzera, a proposito del riciclaggio di denaro proveniente dal traffico internazionale di stupefacenti. In quel momento storico uno degli impegni principali di Falcone era quello di creare una fortissima sinergia con i principali protagonisti della lotta al narcotraffico a livello globale”. “Una interessantissima vicenda è l’incontro tra Falcone e George Bush il 27 maggio del 1989 – ricorda Balsamo – Questo incontro si verifica subito dopo che una delegazione della Commissione Parlamentare Antimafia italiana si incontra con rappresentanti dei Parlamenti dell’Inghilterra e della Germania, allo scopo di discutere iniziative comuni per la lotta contro il traffico di droga e il riciclaggio di denaro sporco. Un incontro che si tiene a Vienna nei giorni 25 e 26 maggio 1989 e vede protagonista Falcone. Subito dopo, di ritorno da Vienna a Roma, Giovanni Falcone viene invitato al ricevimento organizzato a Villa Taverna, è l’unico magistrato presente, e Bush chiede di parlare con lui in privato. E’ evidente che in quel momento l’opera di Falcone riceve una grande attenzione e una intensa condivisione da parte dei massimi leader politici mondiali: il magistrato italiano è visto come un importante punto di riferimento a livello internazionale. Secondo il ricordo di Francesco La Licata, Falcone stesso pose in correlazione l’attentato all’Addaura che venne eseguito da Cosa nostra meno di un mese dopo, precisamente il 21 giugno 1989, con il suo incontro con Bush. Come se si trattasse di una reazione di Cosa nostra, e di tutto quell’insieme di interessi convergenti con la mafia, rispetto a questo ‘pericolo’ che Falcone poteva rappresentare. Di una reazione fortissima di quell’insieme di realtà criminali ad una altrettanto forte autorità conquistata da Falcone, con il suo rapporto di grande fiducia con le massime autorità Usa. C’è un dato che fa riflettere: all’acquisto di una posizione di autorevolezza nazionale e internazionale corrisponde il compimento, da parte di Cosa nostra, di attacchi criminosi, non soltanto di altissimo livello, ma accompagnati da evidenti tentativi di depistaggio. Sui depistaggi che seguirono le vicende dell’Addaura ci sono diverse pronunce importanti. Per quanto riguarda i depistaggi seguiti all’omicidio Mattarella c’è un interessante riferimento nella sentenza della strage di Bologna”. (di Elvira Terranova)