Cronaca

Adescò 16enne, le chat del
bidello. Vittima "attendibile"

“La persona offesa appare graniticamente attendibile. Le sue dichiarazioni sono direttamente riscontrate dai messaggi anche vocali in atti, la cui trascrizione appare fedele alla fonte, come si evince dal loro ascolto”. Sono alcune delle frasi riportate nelle 12 pagine di motivazione della sentenza emessa in primo grado il 23 aprile scorso dal tribunale di Cremona nei confronti di Marco (nome di fantasia), 43 anni, ex bidello in un istituto superiore di Cremona, condannato ad un anno, pena sospesa, per adescamento di minore. L’uomo, per il quale il giudice ha anche disposto l’interdizione perpetua da ogni incarico nelle scuole di ogni ordine e grado, era stato accusato da Maria (nome di fantasia), oggi 18 anni, 16 all’epoca dei fatti, di averle inviato messaggi whatsApp e audio sul telefonino, chiedendole una foto di lei nuda.

L’avvocato Zontini

Nella motivazione sono contenuti gli screenshot della chat dell’imputato con la ragazza: Lui: “Quindi la foto non me la mandi… E quindi allora è grave… E si vede probabilmente che allora non ti piaccio più”. Lei: “Ma non è che mi devi piacere… A mio parere eri una persona simpatica. Ma ti stai rivelando una persona diversa da quella che pensavo. Perchè chiedermi queste cose, non me lo aspettavo da te”. Lui: “Scusami per quello che ti ho chiesto… Io so che se… vuoi lo fai… Secondo me lo fai. Tanto alla fine… una foto”. E lei che gli risponde: “Sei molto strano. E’ solo che se chiedi certe cose ad una ragazzina come me… Credi, è molto strano e sembra quasi pedofilia. Questo è il mio parere. Poi io non sono una così… Che manda foto di qua e di là. Perchè oltretutto non me lo aspettavo da te in particolare”. Lui il giorno dopo: “Ciao, volevo scusarmi per ieri, però vabbè, sai che scherzavo, stai tranquilla”. 

“Nessun dubbio”, per il giudice, sul fatto che la chat in esame fosse avvenuta con l’imputato, “sebbene la sua utenza non sia visibile, nè altrimenti accertata dagli inquirenti. Univoci appaiono infatti i riferimenti all’imputato”. “Inoltre”, scrive il giudice, “la persona offesa non si è nemmeno costituita parte civile e quindi non si aspettava un determinato risvolto economico, e nemmeno ha manifestato particolare acredine nei confronti dell’imputato”. Per il giudice, “il tenore dei messaggi, anche audio”, inviati dal 43enne, “consente di ritenere che questi adescasse la minore, blandendola con complimenti relativi anche al suo aspetto fisico, al fine ultimo di ottenere da parte sua quantomeno una foto nuda. La circostanza che la foto richiesta dovesse ritrarre la ragazza nella sua intimità è univocamente evincibile dalla insistenza con cui l’imputato la chiedeva, dalle minacce velate (E quindi allora è grave…e si vede probabilmente che allora non ti piaccio più), facendola sentire in colpa, dalla reazione sbigottita di lei e dalla reazione di lui alla risposta negativa della ragazza, allorchè cercava di buttare la faccenda sul ridere, nel tentativo di dissimularne la gravità (Sai che scherzavo…)”.

Se quindi il giudice ha ritenuto sussistere il reato di adescamento in funzione della richiesta di una foto intima, così non è stato per l’adescamento finalizzato al compimento di atti sessuali. “Continuava a scrivermi”, aveva detto in aula la studentessa, “anche che gli sarebbe piaciuto venire a casa mia e io avrei dovuto mostrargli la mia camera. A quel punto ho fatto presente la cosa ai miei genitori. Poi l’ho bloccato con il telefono, interrompendo i rapporti”. Per il magistrato, la richiesta di mostrargli la camera “non è stata esplicitata facendole intendere che l’incontro sarebbe stato di tipo sessuale”. “La parte offesa”, si legge, “non è stata in grado di collocare nel tempo tale richiesta, e soprattutto specificare se fosse anteriore o successiva alla richiesta della foto nuda. L’imputato aveva preso una certa confidenza anche con la famiglia della ragazza, pertanto non può escludersi che un riferimento alla casa piuttosto che alla camera fosse stato male interpretato dalla giovane, suggestionata dall’esperienza relativa alla richiesta, verosimilmente anteriore, di foto che la ritraeva nuda. Va dunque escluso, non essendovi una prova certa, che l’adescamento della minore fosse finalizzato anche al compimento di atti sessuali”.

Per questa vicenda, Marco, difeso dall’avvocato Alessandro Zontini, è stato licenziato. In quella scuola prestava servizio da 13 anni. Il suo legale ha già impugnato il licenziamento e ricorrerà in Appello. “Non ho fatto niente”, ha sempre ribadito l’imputato. “Mai ho chiesto la sua foto nuda. Quegli screenshot sono senza mittente e non si legge da nessuna parte che io abbia chiesto alla ragazza una foto di lei nuda”.

“Il mio assistito non è un pedofilo”, ha aggiunto l’avvocato Zontini. “Prova ne è il fatto che nei computer, chiavette e telefonini che all’epoca gli erano stati sequestrati non è mai stato trovato nulla. Ci sono solo messaggi mandati alla parte offesa e ad altre due ragazze, ma nessuno è equivoco, o illecito, o penalmente rilevante”.

Sara Pizzorni

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