Cronaca

Govoni imputato in un processo
penale a Samos. "Accusa falsa"

Nicolò Govoni, l’attivista cremonese fondatore, presidente e direttore esecutivo della onlus Still I Rise, sarà imputato in un processo penale a Samos (Grecia). L’udienza si terrà il 27 maggio. Govoni è stato denunciato per aver utilizzato dei fuochi d’artificio senza permesso. “L’accusa? Completamente falsa”, assicura il cremonese sulla propria pagina Facebook dove ha anche ricosturito la vicenda.

“Alla fine – ha aggiunto – il loro gioco malato sta dando i suoi frutti. Dopo anni di denunce contro i loro abusi tentano ancora di mettermi a tacere, di farmela pagare, magari di mettermi in carcere. Tutto per salvarsi la pelle. Tutto per coprire le tracce. E stavolta ci stanno riuscendo. Ma io non mi arrendo. Non possiamo dargliela vinta. Questo processo è illecito, e i loro fini abominevoli.”

Tutto parte nel 2019, quando Still I Rise deposita “una causa penale per crimini contro l’umanità e abusi sui minori contro Maria-Dimitra Nioutsikou, l’allora manager dell’hotspot di Samos, e il suo diretto supervisore all’interno del Ministero dell’Immigrazione greco”. Dopo due anni, “non è ancora successo nulla”. Hanno spostato Nioutsikou in un altro campo, ma “oltre a questa piccola vittoria, la Procura di Samos ha chiuso la nostra causa in un cassetto, e ha gettato la chiave”. “Prevedibile, certo, ma non meno agghiacciante in un Paese europeo” per il cremonese.

Due mesi dopo, invece, la sera del primo compleanno di Mazì, la polizia di Samos “mi ha accusato di aver usato dei fuochi d’artificio senza i permessi”. “Completamente falso – assicura Govoni -: la verità è che Giulia aveva acquistato quei fuochi in un negozio autorizzato a Salonicco, chiedendo espressamente che fossero utilizzabili senza particolari permessi. Nonostante questo, il giorno del compleanno di Mazì, mi sono recato personalmente dai vigili del fuoco per confermare l’utilizzo dei fuochi d’artificio. E quando questi non hanno saputo rispondermi, mi hanno scortato con la camionetta rossa a chiedere conferma in polizia”.

Un agente ha quindi “usato il mio telefono per parlare con la negoziante di Salonicco, che gli ha spiegato la categoria e l’uso dei fuochi in questione”. “A quel punto – racconta -, il poliziotto ha dato il suo benestare. Quella sera, però, quando abbiamo acceso i fuochi la polizia si è presentata a Mazì in risposta alla lamentela di un vicino. Solo che a quel punto io avevo già lasciato l’edificio per riaccompagnare gli studenti all’hotspot, ma nonostante la mia assenza, e il permesso datomi poche ore prima, e la mancanza di qualsivoglia prova di infrazione, hanno comunque scritto una denuncia contro di me”.

Una denuncia si trasforma in un processo in cui Govoni rischia “fino a tre mesi con la condizionale, dice il nostro avvocato, per un crimine inesistente, un’infrazione che non ho commesso, un’accusa costruita ad arte, senza un briciolo di prova, dopo anni di tentativi falliti”. “Dopo anni a darmi la caccia – sottolinea -. Anni a battermi per i più vulnerabili. Anni a denunciare i loro crimini. Anni a raccontare al mondo la verità”.

Il cremonese quindi attacca: “Di chi sto parlando? Parlo della polizia di Samos. E parlo anche della Procura, che ha deciso di trascinarmi in tribunale contravvenendo a qualsivoglia dettame del diritto e della democrazia. La manager dell’hotspot di Samos è stata accusata di crimini contro l’umanità con oltre sessanta pagine di prove, foto, video e testimonianze giurate, e il suo caso giace ancora, mai aperto, in un cassetto della Procura di Samos. Il mio, invece, per un’infrazione che non ho commesso, è già in tribunale”.

“Il disegno di queste persone è molto più sofisticato, molto più maligno”, evidenzia Govoni: “Quando abbiamo depositato la nostra causa contro le autorità dell’hotspot, la manager ha fatto una contro denuncia nei miei confronti. Il giorno stesso, la polizia è venuta a cercarmi. Volevano mettermi in custodia cautelare e farmi un processo per direttissima. L’accusa? Diffamazione. E per cosa? Per aver divulgato i loro reati, naturalmente. Per aver denunciato i loro abusi. Per essermi interrogato sul furto di centinaia di migliaia di euro. Per fortuna ero in Italia in quel momento, e i due giorni previsti dalla legge sono decorsi senza che potessero processarmi”.

“Se dovessi cedere all’ansia – confessa -, troverei un collegamento tra le due denunce e direi che stanno costruendo più capi di imputazione per far decadere la condizionale e spiccare un mandato di cattura un giorno. Se dovessi ascoltare l’istinto, penserei che stiano fabbricano i presupposti per farmi scontare la galera in Grecia. E se dovessi scadere nella paranoia, temerei che, una volta nelle loro mani, facciano di me un esempio davanti a tutte le organizzazioni umanitarie che provino a sfidare il loro potere. Ma farò un respiro profondo, e affronterò la situazione con razionalità, e non darò loro la soddisfazione di farmi paura. Eppure il brivido gelido c’è, mi corre lungo la schiena e mi fa alzare le difese, proprio come faceva anni fa. Forse è lo stesso trauma di allora che riemerge. Ma, nonostante tutto, questo istinto mi ha sempre tenuto al sicuro finora”.

L’attivista ammette che “quindi forse esagero, forse mi sto preoccupando per nulla, ma se invece il mio istinto avesse ragione anche stavolta, e noi li lasciamo operare indisturbati, allora porteranno a termine la mia esecuzione”, ma che “non ho intenzione di stare a guardare”.

“Abbiamo già fatto – rimarca – tutto il possibile per tutelarci. Sempre nel 2019, abbiamo depositato la nostra denuncia contro le autorità di Samos anche presso la Procura di Roma. Il Procuratore Aggiunto dei reati contro i minori, la Dott.ssa Monteleone in persona, si era fatta carico del caso e, dopo aver visionato le prove contro la gestione dell’hotspot, aveva trovato i presupposti per inoltrare la denuncia alla Corte Europea di Giustizia. Nel 2020 mi aveva chiamato personalmente al telefono, chiedendomi di fare attenzione e dicendosi sollevata che non mi trovassi più a Samos. Ma purtroppo, anche da lontano, i corrotti di Samos perseverano, e i loro artigli graffiano attraverso i continenti”.

Per Govoni è “pazzesco”. “Come Still I Rise – prosegue – operiamo in Kenya, in Turchia, in Siria, luoghi che nell’immaginario comune si qualificano come instabili, pericolosi, corrotti. E invece no, e invece è la solita menzogna, perché i peggiori si trovano proprio in Europa, la cosiddetta culla della civiltà, e si nascondono tra noi, e parlano la nostra lingua, e pregano lo stesso Dio, e la notte, forse, dormono sereni nella loro corruzione. E per cosa? Per cosa tutto questo? Per continuare a divorare denari? Per continuare ad abusare i minori? O per il potere di trattare la gente come se fossero bestie, impunemente? Vergogna. Vergogna. Vergogna. L’umanità muore con voi”.

“Quello che fa più male – continua il cremonese – però è che, dopo due anni di crescita e di meraviglie in giro per il mondo, pensavo fossimo più al sicuro, finalmente, pensavo fossimo più forti. Ma anche il male è forte, e a volte il bene trema davanti alla sua ferocia. Speravo non mi sarei mai più trovato nella stesa situazione di due anni fa, con delle autorità corrotte a darmi la caccia e nessuno scudo se non la voce di chi ci supporta a difendermi. Ma ora capisco che è questo il prezzo da pagare per l’indipendenza: la solitudine. Temo lo sarà sempre”.

Govoni quindi, “ora come allora”, chiede “a tutti di condividere questo scempio 5.000, 10.000, 20.000 volte perché sappiano che li stiamo guardando, che il loro comportamento non passerà inosservato, e che anche stavolta ci muoveremo senza indugio se dovessero abusare del loro potere”. “Da oggi – agigunge – fino al 27 maggio i tuoi occhi sono il mio unico scudo contro questi bastardi. E se io sono lo scudo della nostra Missione, allora dobbiamo combattere per il bene dei nostri bambini. E se è la guerra che vogliono, allora ci troveranno pronti”.

Riferendosi infine alle autorità di Samos, Govoni attacca: “Sappiamo che la vostra accusa è falsa, costruita ad arte per intimidire me e chiunque denunci i vostri crimini, e quindi noi facciamo l’opposto, noi gridiamo, 350 mila persone che si alzano come una. Per tenervi d’occhio. Per assicurarci che agiate, almeno stavolta, nel rispetto della giustizia e della legge. Perché, se così non fosse, scoprirete che i nostri denti sono affilati quanto i vostri”.

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