Cronaca

Allarme Confcommercio: 'Se Lombardia resta arancione andrà sempre peggio'

Se la Lombardia (senza rivedere le analisi su base provinciale) resterà “zona arancione” – come appare quasi certo – anche il nuovo Dpcm non potrà portare alla ripartenza del settore della ristorazione: a denunciare la situazione sono Confcommercio e Fipe Cremona, che evidenziano come questo porterebbe ad aggravarsi ulteriormente “la posizione di un comparto che è già in una situazione di pesantissima difficoltà”.

“Crediamo nel confronto e nel dialogo con le Istituzioni. Ma il dialogo prevede la reciprocità, non solo provvedimenti calati dall’alto, spesso senza nessuna logica” sottolinea Andrea Badioni, presidente di Confcommercio Cremona. “Non vogliamo, ne possiamo assistere inermi a scelte che sono incomprensibili nei riguardi di un settore letteralmente al collasso. Vogliamo trasferire il disagio, la preoccupazione, l’amarezza, spesso anche la disperazione che gli operatori di questo settore stanno vivendo, perché vedono a rischio il futuro loro, delle loro aziende, delle loro famiglie, dei loro dipendenti e delle loro famiglie, del loro progetto di vita, che spesso coincide con il loro ristorante, bar, pub, pizzeria, pasticceria, gelateria, azienda di catering, locale di intrattenimento”. 

“Le nostre imprese – continua – con queste perdite e senza adeguati ristori non possono superare questa emergenza. Nei giorni scorsi ho incontrato la titolare di un ristorante del centro della città. Nel primo lockdown la perdita di fatturato ha superato diverse centinaia di migliaia di euro. I contributi statali sono stati (complessivamente) di settemila euro, meno di quanto costa il solo affitto mensile del suo locale. In questi mesi gli investimenti, per la sicurezza in particolare, hanno rischiato di superare i contributi di sostegno arrivati dal governo”.

Badioni lancia, dunque, un appello alle istituzioni: “La politica in questi nove mesi ha sempre sostenuto, ad ogni livello, che fosse necessario il massimo dell’equilibrio tra la tutela della salute e la salvaguardia dell’economia. A dispetto di questo principio, il settore della ristorazione, è stato il primo ad essere chiuso e l’ultimo ad essere aperto durante il primo lockdown di marzo. Settantotto giorni di chiusura in cui le nostre imprese hanno tenuto giù le serrande, impedite a servire anche un solo cliente, mentre questo stesso cliente poteva stare in fila in un supermercato. E lo stesso blocco si è rinnovato anche in queste ultime settimane dell’anno”. Per Confcommercio resta “Un fatto difficile da comprendere sotto il profilo scientifico, economico, sociale e persino umano”. 

“Con senso di responsabilità – confermano Fipe e Confcommercio – le nostre imprese si sono preparate a riaprire adottando i rigorosi adempimenti previsti dai Protocolli Sanitari messi a punto dal Cts (Comitato Tecnico Scientifico) e dall’Inail: distanziamento dei tavoli, registrazione delle prenotazioni, mascherine, gel igienizzanti, menu digitali, plastificati o monouso, cartelli informativi in ogni angolo dei locali, prodotti monodose. Si è anche investito sui dehors esterni, consapevoli del fatto che all’aria aperta i clienti si sentivano più sicuri e tranquilli”. I risultati di tanto impegno sono stati evidenti “Per quattro mesi – rilancia Fipe – abbiamo lavorato in sicurezza. Lo testimoniano i dati dell’Istituto superiore di Sanità sull’andamento dei contagi e quelli del Ministero dell’Interno sui controlli, secondo cui dall’inizio della pandemia, su oltre 6,5 milioni di controlli effettuati nel complesso delle attività commerciali, ristorazione compresa, solo lo 0,18% ha subito una sanzione”. “Dopo tutto questo – riprende Badioni – a quasi otto mesi dal primo lockdown, è arrivato un nuovo fermo, stavolta a tempo indeterminato. Ci sfibra l’incertezza e ci demotiva l’instabilità, in un’insensata gara all’untore, e allora, come Confcommercio, vogliamo dire con forza che non siamo bar e ristoranti il problema. Fa rabbia la pretestuosa distinzione tra attività economiche essenziali e non essenziali: tutte le attività economiche sono essenziali quando producono ricchezza, occupazione, servizi. E tutte le attività sono sicure se garantiscono le giuste regole e attuano i protocolli sanitari loro assegnati”. 

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