Cultura

Umberto Sterzati, maestro di chitarra e di profonda “cremonesità”

di Agostino Melega

Ho ascoltato per la prima volta, tanti anni fa, le canzoni in dialetto del maestro Umberto Sterzati dalla voce di Luciano Dacquati, a casa di questi, alla cascina Boncassolo, una sera di san Silvestro, in attesa della mezzanotte e degli auguri dell’anno nuovo. Con noi vi era un nutrito gruppo di amici amatori delle cose semplici e belle, che si deliziava in quell’atmosfera che il padron di casa sapeva creare attorno al pianoforte da lui stesso suonato. E Luciano, proprio in quella sera di vigilia, mi parlò di Sterzati, e lo fece con struggente nostalgia, dicendomi che il maestro era stato un virtuoso della chitarra classica, un uomo buono e generoso, un personaggio della Cremona d’un tempo.

Luciano aveva appena intonato una canzone, a tempo di valzer, che di tanto in tanto mia moglie Rosella ancor oggi canticchia, dal titolo Stornellate Cremonesi, una pagina poetica e musicale apparsa per la prima volta nel 1938, che qui ripropongo all’attenzione del lettore.

Stornellate Cremonesi

Ai scritùur gh’è vegnìit la manìa

de vantàa la cità so natìa:

sa garèsei de dìi i cremunées

urguliùus de so paées?

I ghe dìis: Monteverdi, Ponchielli

de la mϋšica, incóo, dùu giojèli;

Stradivàari, artìista ‘n pòo féen,

‘l éera en màago, el rè d’i viuléen.

Gh’ùm la scóola de Paleografìa,

oltre a chéla de la Liuterìa;

…el primàat de le bàalie ‘l è chì

ve la dìis sèensa piàt i trìi T.

Agli scrittori è venuta la mania/ di vantare la propria città natia:/ cosa dovrebbero dire i cremonesi/ orgogliosi del loro paese?/ Essi rispondono: Monteverdi, Ponchielli,/ della musica, oggi, due gioielli:/ Stradivari, artista oltremodo raffinato,/ era un mago, il re dei violini./Abbiamo la scuola di Paleografia,/ oltre a quella di Liuteria,/ il primato delle balie è qui,/ ve lo dicono senza dubbio i tre T . (Turòon, Turàs e Tetàs, Torrone, Torrazzo e mega T… ).//

Ritornello: 

Óo Cremùna, Cremùna, Cremùna,

la cità del gràan Turàs,

‘ndùa in stràada se vèend la patùna

cun le véerše, ‘l turòon e i spinàs.

L’è carìna, Signùur, töta quàanta,

gh’ùm la piàsa che l’ incàanta

en giardéen prϋfϋmàat, muntagnóole,

gratacéeli, palàs, bèle fioole…

l’è mìia Róma, Venésia, se sà,

ma l’è bèla la nòostra cità!

Ritornello: Oh Cremona, Cremona, Cremona,/ la città del gran Torrazzo,/ dove in strada si vende il castagnaccio,/  con le verze, il torrone, e gli spinaci./ E’ carina, Signore, tutta quanta,/ con la piazza che incanta,/ un giardino profumato, montagnole,/ grattacieli, palazzi, belle ragazze…/ non è Roma, Venezia, si sa,/ ma come è bella la nostra città!//.

Di Sterzati, in seguito, mi parlò la pittrice Annamaria Costa, che era stata sua allieva, con parole di tenerezza, quasi di venerazione. Da lei venni a sapere che il maestro aveva un temperamento ‘vulcanico’, e che suonava oltre la chitarra classica anche il banjo, il violoncello e la chitarra hawaiana.

Un ultimo richiamo importante al musicista lo ebbi pure alcuni anni dopo, quando fui invitato, una sera d’estate, dalla biblioteca di Soresina a ricordare la figura della poetessa Ivalda Stanga. Ebbene, per quel  momento poetico-musicale, coinvolsi il chitarrista Giulio Molinari, altro allievo di Sterzati.  Da Giulio venni allora a sapere che Sterzati scrisse pure delle commedie che poi musicava, e che il maestro si era reso attivo nell’organizzare concerti e spettacoli di varietà sia al Politeama Verdi sia al Filo. Venni a sapere inoltre sempre da Giulio che Sterzati era un componente dell’orchestrina che accompagnò i primi passi di Ugo Tognazzi nell’attività di avanspettacolo.

Ho letto in anni successivi pure le pagine di alcuni intellettuali estimatori del maestro, da Gianfranco Taglietti a Renzo Bodana, passando per Mario Muner. Ed ho avuto inoltre il piacere di leggere un articolo di Ines Brambati, pubblicato da Maspero Gatti su Colloqui Cremonesi, dove ebbi la conferma di come Sterzati fosse un vero eclettico, e non solo nella vita, ma anche nell’uso della proprie canzoni.

  Scritto lo spartito per uno dei complessi musicali da lui guidati, Sterzati lo modificava infatti di continuo, ponendolo in relazione ai bisogni e agli effetti d’ascolto che si voleva suscitare nelle diverse località della provincia. Così facendo egli teneva vivo l’interesse per la musica popolare in città e nel contado. Questo artista svolgeva, nel suo amare Cremona, il ruolo di promotore turistico ad ampio raggio. Tant’è che in una variante della stesse Stornellate, funzionale ad alcune rime di facile richiamo, aveva scritto e cantato:

Che vedùta, Signùur…l’è pràan bèla!

…višitèe piàsa Padella,

via dell’Oca…muntàgne del Lugo,

ricurdèe – tudìi sö ‘l califùugo!

Gh’è ne Londra, Parigi o Milàan

che cunfróonta ‘l riòon san Basàan!

Che veduta, Signore…, è molto bella!/ …visitate piazza Padella,/ via dell’Oca…montagne del Lugo,/ ricordate, prendete con voi il callifugo!/ Non c’è Londra, Parigi o Milano/ che paragoni il rione san Bassano!//

Così come, nel 1940, il maestro  scrisse una ‘satiretta valzerata’ dal titolo Turismo cremonese, dove si invitavano tutti i forestieri a visitare  Olmeneta, Drizzona, Ossolaro, Castagnino, Gabbioneta, Vescovato e molte altre località, e con due ritornelli diversi, nel primo dei quali egli diceva:

Višitèe Perserghél

Stàgn Lumbàard, el Furcél

Picenèeng  ‘l è mìia luntàan

el sumìilia ‘n pòo a Milàan.

Visitate Persichello/ Stagno Lombardo, il Forcello/ Picenengo non è lontano/ assomiglia un poco a Milano.//

Nel secondo ritornello, inserito nella canzone in un giorno d’estate del 1941, e precisamente il 2 di agosto, Sterzati ampliava ancor di più l’orizzonte e l’attenzione verso altri luoghi conosciuti ed amati del Cremonese, e proponeva a gran voce, con  un  vero e proprio programma di marketing territoriale:

Višitèe Pescaróol,

Rumperšàgn, Sigugnóol,

San Felìis e Cùurt d’i Fràat:

che vedùte!…Che pecàat

che i sìa pòst desmentegàat!

Malagnìin, Spinadèsch,

Cà de’l Bìs o Cà d’i Gàt

j è di pòstche ‘n dìit e fàt

i ne fàava diventàa màt;

San Daniéel, la Levàada, cun Fèeng

o Piéef d’Ulmi, Capéla, Pulèng:

che delìsia, che véera cϋcàgna

 vegnìi  töti a Cremùna in campàgna!

Visitate Pescarolo,/ Romprezzagno, Cicognolo,/ San Felice e Corte de’ Frati:/ che vedute!… Che peccato/ che siano posti dimenticati!/ Malagnino, Spinadesco/ Cà del Bìs o Cà de’ Gatti/ sono posti che dettofatto/ ci fanno diventare matti;/ San Daniele, Levata con Fengo,/ o Pieve d’Olmi, Cappella, Polengo:/ che delizia, che vera cuccagna/ venite tutti a Cremona in campagna!//.

Le Stornellate cremonesi sono state rivisitate dall’autore nel ’58 e nel ’64, e comprendono pure due sezioni finali  dove si canta la città dagli antichi selciati medievali e della polemica, allora viva, di salvarli oppure no.   

Sterzati cantò pure la vicenda della Torre del Capitano, oggetto, nei primi anni ’60, di un vivace dibattito circa la sua possibile demolizione. Ricordo ancora le accalorate discussioni presso il ‘mio’ barbiere, Nino Ferrari, in via Sauro e Filzi, nel rione di sant’Ambrogio, dove erano in molti a dire: “Ficùmela šó! ‘Sa ‘n de fùm? Buttiamola giù! Cosa ne facciamo?”.

Le parole della lunga canzone ci parlano pure delle folle richiamate dagli apparecchi  televisivi installati per la prima volta nei bar, così come ci narrano del caldo tropicale dell’estate cremonese, il cui rimedio non poteva essere che quello di ricorrere al Po, gràan bèl fiöm piturèsch, gran bel fiume pittoresco, dove…                   

Ghe nìna ‘n muciòon de pϋtéle

de spušìne…stantìide e nuvéle,

che a’l sulòon, che j à scòta fìs fìs,

le se càambia la pél cùme i bìs.

Vi dondola un gran mucchio di ragazze/ di sposine…attempate e novelle,/ che al gran sole, che le scotta molto e tanto,/ mutano la pelle come le bisce.//

Incontrandomi anni fa con Luigi Zeri (che fu allievo di Sterzati), ho commentato queste righe nelle quali il maestro sottolinea, senza riserve, il fascino esercitato su di lui dall’altra parte del cielo, quello colorato di rosa, ed un luogo, le spiagge del Po, ‘ndùa fàa bèl de galèti, dove poter ‘raccogliere frutti più o meno maturi’.  Zeri mi sorrise, e mi disse con simpatica ammissione: “Sterzati ‘ l éera ‘n pòo ‘n scapös”, era un poco birichino!

 Al di là di quello per la corte alle donne, l’amore messo in evidenza dagli scritti di Sterzati è tipico di chi ha vissuto lontano dalla propria terra, di chi si emoziona nel sentir pronunciare il nome evocativo del ceppo da cui è venuto, da cui è partito. Questo è il sentimento prevalente che vibra dalle pagine  di Umberto Sterzati, già emigrato e ritornato felicemente a casa.

‘Il grande maestro’ – così l’ha definito Cesare Gualazzini, avvocato e liutaio, costruttore di chitarre e chitarrista, che lo frequentò, – era nato all’estero, il 16 agosto 1909, a Caratinga, nello Stato brasiliano di Minas Gereas.  Qui Sterzati fu molto rispettato e non fu mai considerato né ‘oriundo’ né tantomeno straniero. Egli era nato così lontano da Cremona perché il padre, Primo Sterzati, nativo di Casalbuttano, era emigrato giovanissimo, in America del Sud, per ragioni di lavoro, insieme ad altri milioni di Italiani che dovettero sradicarsi per continuare a vivere. Nell’Italia liberty del tempo, nell’Italietta, il padre di Umberto, non aveva trovato, come tanti altri propri simili, il pane sufficiente per mantenere se stesso e la propria famiglia con dignità, e fu quindi obbligato ad abbandonare la casa avita e ad espatriare.

Ed è caratteristico e tipico dell’emigrante, dell’Italiano nel mondo, amare sopra ogni cosa la Patria, la terra natia lontana, e gli avi che là riposano per sempre, anche se si è dovuta lasciare la stessa Patria per ragioni di lavoro o per contrasto politico. E’ conseguente a questa logica affettiva che il ricordo di quell’espatrio della famiglia Sterzati, abbia poi prodotto in Umberto, ritornato dal Brasile, il desiderio di accentuare, nella sua produzione artistica, i sentimenti comuni della collettività cremonese, elaborando, come scrive Mario Muner, “ad accompagnamento di alcune sue pagine poetiche, le musiche che intendono permettere alla pagine stesse di assumere il carattere di ‘canzoni popolari’”.

 Non a caso sul frontespizio della raccolta di testi del 1964, dal titolo Quatèr rìme e dò cansòon…(ma in sustàansa pòoch de bòon), Umberto Sterzati, alla stregua di Nunzio Filogamo, mitico presentatore dei primi festival di san Remo, volle che fosse stampata la dedica ‘A tutti i cremonesi vicini e lontani’.

 Vi si ravvisano in quella raccolta, comprensiva di testi in dialetto e in  italiano, il desiderio di esprimere in forma corale l’amore dei cremonesi per la loro città e, in particolare, per il ‘gràan Turàs’ e l’esigenza d’un loro affratellamento sulla base della comune fedeltà ai valori e alle bellezze cittadine.

“Tali sentimenti soprattutto – scrive ancora Muner –  sono dominanti in Vìva Cremùna, vera canzone a ballo, che ricorda, in particolare e sotto certi aspetti, i canti carnascialeschi del Rinascimento, ma senza affioramenti di quelle note malinconiche da cui talora quelli erano accompagnati”.

 Il mai dimenticato critico letterario Muner, la cui origine ladina non  fu d’impedimento perché egli potesse scrivere l’opera fondamentale ed insuperata ‘Cento e un anno di poesia Cremonese’, ha inoltre precisato:

“Qui il piacere del vivere in una città festosa e cordiale si associa all’invito a bere e al danzare. Si potrebbe aggiungere: impetuosamente ma senza eccessi. Infatti libagioni e avvicinamenti alla bellezza femminile appaiono, in questa pagina, contenuti entro i limiti che possono ammettersi in un’animata festa popolare, come, in special modo, è dimostrato dalla conclusione della canzone che, facendo riferimento alla fontana del Giardino di Piazza Roma, circondata  di fiori e illuminata nelle notti estive, sottolinea, senza equivoci, i ritegni che la coralità cremonese dello Sterzati ha voluto imporsi”.                                                          

VÌVA CREMÙNA

Evìva, vìva ‘l me paées!

Vìva Cremùna e i cremunées!

Se fùm merèenda, in sϋ du pée,

o che baldòria piantùm lée!

Quàan’ gh’è finìit la culasiòon

cun na chitàra, cu’n viulòon,

mé, la Rušéta, té, la Claréta

se fa trìi pìirli cu’n  bèl valseròon.

Evviva, viva il mio paese!/ Viva Cremona e i cremonesi!/ Se facciamo merenda, sui due piedi,/ oh che baldoria diamo vita all’istante!/ Quand’è finita la colazione/ con una chitarra, con un contrabbasso,/ io, la Rosetta, tu, la Claretta/ si fanno tre piroette con un bel grande valzer//.

Bevùm, bevùm, bevùm

‘n biceréen de véen,

inséma a la Rušéen,

inséma a la Rušeen.

Bevùm, bevùm chél bòon,

 cu’l pàan e cu’l giambòon,

e in méza a’l curtilèt,

oé, Rušìna, piantùm en balèt!

Ritornello: Beviamo, beviamo, beviamo/un bicchierino di vino,/ insieme alla Rosina,/ insieme alla Rosina./ Beviamo, beviamo quel buono,/ col pane e col prosciutto,/ e in mezzo al cortiletto,/ Ohé, Rosina, iniziamo un balletto!//.

Gh’ùm le tre T: ‘l Turasòon

e la secóonda l’è ‘l Turòon

e ‘l àalter T po’ ‘l ne digarà

che la miglior specialità

j è le pϋtéle che in giardéen

le mùustra cèerti “giledéen”…

Gìira la téesta quàan’, a la féesta,

gh’è la paràada de i bèi s’ciϋmeléen.

Abbiamo le tre T: il Grande Torrazzo/ e la seconda è il Torrone/ e l’altra T poi ci dirà/ che la miglior specialità/ sono le ragazze che nel giardino/ mostrano certi ‘decolté’…/ Gira la testa quando, alla festa,/ c’è una parata di ragazze briose.//.

Bevùm, bevùm, bevùm (…)

Ritornello: Beviamo, beviamo, beviamo (…)/

Da Lisandròon se va a mangiàa,

in rìiva a Pòo se va a pescàa,

in sö ‘l Turàs…per escϋrsiòon,

in Galerìa a…a fàa limòon.

Duciùm in spiàgia la beltà,

se va al “Cristàlo” a fàa ‘l gagà:

ilϋminàada, töta infiuràada,

o che funtàana che gh’ùm in cità!

Da Alessandro il Grande si va a mangiare,/ in riva al Po si va a pescare,/ sul Torrazzo…per escursione,/ in Galleria a fare il cascamorto./ Osserviamo furtivi in spiaggia la bellezza,/ si va al “Cristallo” (sala da ballo) a fare il gagà:/illuminata, tutta infiorata,/ oh che fontana che abbiamo in città!//.

Bevùm, bevùm, bevùm! (…)

Ritornello: Beviamo, beviamo, beviamo (…)/

Partecipando nel ’51 al XIII Congresso chitarristico a Parma, ‘sotto gli auspici della Unione Chitarristica Internazionale’, dove egli fu eletto segretario, Sterzati invitò tutti i chitarristi a prodigarsi ad istituire, nelle singole città, corsi gratuiti. In quella sede, sollecitò le varie sedi della Rai (che stava per programmare le prime trasmissioni televisive, messe in onda a partire dal ’54) perché inserissero nei loro servizi musiche per chitarra.

 Sterzati era coerente nelle idee e nell’azione: el ciciaràava mìia a vóot, non ciacolava a vuoto! Infatti casa sua, o meglio la soffitta di casa sua, in via del Sale n.13, a Cremona, divenne palestra e scuola di musica del tutto gratuita, e riuscì a trasmettere la propria passione e competenza a centinaia di giovani cremonesi.

Il maestro autodidatta, che aveva iniziato in gioventù a suonare il violoncello, e che fu abilitato all’insegnamento fin dal 1936, spense per sempre la propria chitarra il 9 maggio 1972, il giorno in cui egli morì. Di lì a poco, sempre nel 1972, sorse la Scuola di chitarra classica intitolata al suo nome.

Paladini di questa forma di rispetto e di riverenza furono: Luigi Vida e Antonio Barbiere, sostenuti dagli allievi del maestro: Luigi Zeri, Giulio Molinari, Paola Manfredini, Cesare Gualazzini, Giorgio Giambiasi, Germana Grazioli, Domenico Baronio, Ermes Ravasi, Franca Calza.

Attraverso di loro, il nome di Sterzati ha continuato e continua a vivere, e così la sua musica ed il suo e ‘nostro’ dialetto.

                                                                                                        

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