Cronaca

Emergenza Covid, il dg Rossi difende l'operato dell'ospedale e rilancia il 'modello Lodi'

La sanità del territorio, e non solo, è stata al centro del consiglio comunale aperto svoltosi nel pomeriggio di mercoledì in Cortile Federico II. Un momento con cui i consiglieri hanno “voluto dimostrare di essere vicini alla città” ha detto il presidente, Paolo Carletti. “Una città che insieme ha superato un’emergenza e ora vuole ripartire e ricrescere”.

Tra gli interventi spicca quello del direttore dell’Ospedale, Giuseppe Rossi, che ha raccontato quello che sarà nel prossimo futuro l’ospedale di Cremona. Un ospedale in cui “migliorare la qualità assistenziale delle persone, differenziando i reparti in base all’intensità assistenziale”. L’obiettivo, ha sottolineato il dirigente, “è creare la dipartimentalizzazione e condividere le competenze, perché il paziente di 80 anni quando viene ricoverato ha una molteplicità di patologie. Dunque deve essere indirizzato in base alla sua intensità di patologia. La nuova visione della sanità ci porta a capire che bisogna collaborare, e il Covid deve darci questo input”.

“Abbiamo 130 posti letto in meno – ha detto esplicitamente il direttore, citando come modello per Cremona quanto fatto nel suo precedente mandato a Lodi –  ma con l’esperienza che abbiamo avuto possiamo migliorare la qualità assistenziale dei pazienti, differenziando i reparti in base alle necessità assistenziali. Questo è stato il cardine per cui Lodi ha retto bene nei mesi dell’emergenza. A ogni intensità di patologia serve il giusto livello di cura”.

Del resto durante la pandemia, ogni medico ha fatto di tutto: “Abbiamo avuto gli oculisti che hanno fatto gli infettivologi e chirurghi che si occupavano di pneumologia” spiega Rossi, che racconta cosa è successo all’ospedale di Cremona: “Tra Cremona e Oglio Po abbiamo 600 posti letto. In 15 giorni 500 erano occupati da pazienti Covid. Siamo passati da 8 a 60 posti letto di terapia intensiva. Se non ci fosse stato uno sforzo organizzativo non avremmo potuto affrontare una cosa del genere. L’emergenza è stata drammatica, ma l’Ospedale ha reagito compatto”.

Ed è anche il momento di fare i conti: l’ospedale ha speso moltissimo per la gestione dell’emergenza Covid, “nonostante molte cose ce le abbia fornite la protezione civile. Tra i costi diretti abbiamo speso 1,5 milioni di euro tra ambulanze, sanificazioni, carburanti e altro”. Ma l’impatto più elevato è il costo del personale: “In questi mesi di emergenza il costo del personale è aumentato di 12 milioni di euro”.

E il comparto della medicina d’urgenza? Il Pronto Soccorso è in fase di ampliamento e riorganizzazione, mentre non si sa che fine farà quel piccolo reparto dove vengono ospitati pazienti con ricoveri provvisori, mentre fanno le analisi necessarie, e di cui si paventa la chiusura. “Quando saranno nominati i nuovi primari del pronto soccorso e di terapia subintensiva, decideremo cosa fare anche con la medicina d’urgenza”.

Non manca, infine, da parte di Rossi, una piccola critica alla Regione Lombardia, che ha evidenziato come “nei primi tempi dell’emergenza siamo rimasti soli. La Lombardia avrebbe dovuto decidere dall’alto di mandarci personale da altri ospedali. Questa cosa è stata recepita in ritardo. Quando si sono resi conto di cosa stavamo passando, si sono attivati e ci hanno dato tutti i supporti”.

Del resto l’epidemia non è finita: lo ha sottolineato Angelo Pan, direttore dell’unità operativa di Malattie Infettive dell’Ospedale di Cremona. “Certo, abbiamo pochi casi ricoverati, ma non dimentichiamo che un mese fa avevamo un solo paziente, ora ne abbiamo 15”.

Ma bisogna guardare avanti: “Bisogna fare in modo di poter continuare a curare qui anche le altre patologie. La città di Cremona deve restare una città ad alto livello scientifico e sanitario”. Dunque come far rinascere la sanità cremonese? “Bisogna trasformare questa disgrazia in opportunità” ha sottolineato il medico. “E in questo le alleanze sono fondamentali. La salute è di tutti, non di destra o sinistra. E l’obiettivo è quello di difendere la salute di tutti i cremonesi. Bisogna costruire reti di cittadini” e soprattutto “reti di salute”. Pan ha anche lanciato un appello affinchè l’ospedale di Cremona diventi nuovamente attrattivo per  i medici, evitando che una volta usciti dalla specializzazione guardino prevalentemente agli ospedali di maggiori dimensioni e quindi con maggiori risorse: per questo, ha detto Pan, occorre incentivare anche nel nostro ospedale la ricerca e dotare la struttura di strumentazioni tecnologiche d’avanguardia.
Non manca un monito: “Controllare il Covid è un altro elemento fondamentale, e si può fare con tre precauzioni fondamentali: mascherine, distanziamento sociale e lavaggio delle mani. Ricordiamoci che possiamo aspettarci un nuovo aumento dell’infezione, e solo con la prevenzione possiamo arginarlo”.

Tra gli interventi, anche quello della dottoressa Annalisa Malara, cremonese in forza all’ospedale di Codogno, nonché la prima a individuare il paziente 1: “Sicuramente le nostre zone sono quelle maggiormente colpite dalla pandemia. Ci hanno salvato la riconversione dei pronto soccorso e delle altre specialità. Ci ha aiutato molto anche l’assistenza territoriale con l’utilizzo della telemedicina, che ha sgravato il pronto soccorso consentendo all’ospedale di seguire solo i pazienti più gravi. Importante anche la possibilità di usare medici specializzandi”. Come migliorare ancora? “Si dovrebbero prevedere delle equipe che vadano a valutare a domicilio i pazienti più gravi. Tutto questo potrebbe darci una mano sia nel momento del picco epidemico sia per ottimizzare l’assistenza al malato” conclude Malara.

Importante anche l’intervento della nota infettivologa Claudia Balotta, che ha evidenziato come “le condizioni ambientali sono legate all’emergenza Coronavirus”. La dottoressa ha poi ricordato quanto accaduto: “Non c’è stato eroismo da parte nostra ma preparazione, perché eravamo consapevoli che qualcosa sarebbe successo. Abbiamo isolato il virus e ne abbiamo studiato la sequenza. L’epidemia ora sta raggiungendo i giovani e se raggiungesse di nuovo gli anziani potrebbe portare quanto già abbiamo osservato tra marzo e aprile. Questa consapevolezza deve uniformare i nostri comportamenti. In assenza di farmaci e vaccino è l’unico modo che abbiamo per contrastare il virus”.

Una grande pecca italiana, per Balotta, è il problema degli investimenti sulla ricerca scientifica, “che per ora vedono una spesa da parte dell’Italia di solo il 3% del pil, a differenza di quello che fanno altri Paesi, che investono molto di più”.

Laura Bosio

 

 

 

© Riproduzione riservata
Caricamento prossimi articoli in corso...