Economia

Analisi congiunturale, più colpite dalla crisi piccole e medie imprese

Ad essere maggiormente colpite dalla crisi sono state le piccole e medie imprese ed il settore più in sofferenza è stato quello dei beni di investimento: questo emerge dall’analisi congiunturale relativa al 1ª trimestre 2020 realizzata da Unioncamere Lombardia in collaborazione con l’Associazione Industriali, Confartigianato e Cna.

Tra i settori economici, quelli che hanno subito i cali annui più contenuti (sotto i due punti percentuali) sono l’alimentare, che ha continuato a produrre per soddisfare le esigenze primarie, e la chimica, che ha beneficiato del consistente impulso all’industria farmaceutica. I settori delle pelli-calzature, dell’abbigliamento e del legno hanno invece visto contrazioni produttive ben più marcate, attorno al 20%.

In ambito provinciale, l’indagine ha interessato complessivamente 155 imprese cremonesi appartenenti a tutte le principali attività del comparto manifatturiero, suddivise in 64 imprese industriali e 91 artigiane. Una prima osservazione di carattere generale, che riguarda il confronto con l’intera regione, attesta una migliore tenuta dell’economia industriale provinciale, rilevata da quasi tutti gli indicatori che hanno evidenziato variazioni, sia congiunturali che tendenziali, meno negative di quelle riscontrate per la Lombardia.

I dati sull’industria manifatturiera cremonese del primo trimestre 2020 sono chiaramente condizionati dalla pandemia da Covid-19, in parte a causa del lockdown produttivo degli ultimi giorni di marzo. L’andamento della produzione è stato condizionato anche dagli eventi negativi prima indicati: il calo della domanda, i problemi di approvvigionamento delle materie prime, le difficoltà logistiche per le esportazioni date dalla limitazione degli spostamenti di persone e merci, la forzata riduzione dell’organico causata dal prescritto mantenimento delle distanze di sicurezza, o dalla necessità di rispettare quarantene che a volte hanno coinvolto, in tutto o in parte, stabilimenti produttivi del nostro territorio.

Per il momento non si registrano cali nel livello occupazionale, grazie alle misure adottate di potenziamento degli ammortizzatori sociali e al fatto che i lavoratori in Cassa Integrazione nel nostro paese vengono considerati occupati. Ovviamente però, alla quasi stabilità del numero degli addetti corrisponde un crollo delle ore lavorate nel mese di marzo.

A livello congiunturale, si assiste ad una diminuzione della produzione del 6,5% che accentua notevolmente le criticità già in parte manifestate a fine 2019. Ancora più pesante è l’impatto sul fatturato che perde il 10%, mentre restano contenute le conseguenze sugli ordinativi, la cui contrazione ha risparmiato le imprese del comparto agroalimentare. La maggiore contrazione si è registrata sulla domanda dall’estero che ha perso il 3,4% su base trimestrale, contro l’1,7% ceduto da quella nazionale.

Sostanzialmente stabile è stato rilevato il numero degli addetti, ma importante è stata la ripresa della Cassa Integrazione ordinaria: dopo due trimestri praticamente a zero, la percentuale di imprese che vi ha fatto ricorso è salita al 47% del totale. Scarso, almeno per il momento, è stato l’impatto della crisi sui prezzi che vengono dichiarati in lieve crescita per le materie prime (+1,1%) ed in calo altrettanto contenuto per i prodotti finiti (-0,8%).

Ovviamente, il quadro provinciale tendenziale, quello cioè che risulta dal confronto con lo stesso periodo dell’anno precedente, ricalca le dinamiche trimestrali e gli effetti economici su base annua della pandemia si riflettono in misura pressoché analoga su tutti i principali indicatori ad eccezione dell’occupazione per le motivazioni prima espresse. La produzione industriale, che già aveva lasciato sul terreno oltre quattro punti percentuali nei mesi finali del 2019, evidenzia un -8,6% e di poco meno (-7,7%) si contrae il fatturato. Nei confronti dell’anno prima, a soffrire maggiormente sul lato della domanda è la componente nazionale (-7,2%), mentre quella estera, che solo tre mesi prima aveva segnato un +10,6%, contiene la perdita a poco più di due punti.

Nel primo trimestre 2020, l’indice destagionalizzato in base 2015 della produzione (che comunque non si discosta significativamente da quello del fatturato e degli ordini) scende nell’industria dal 104,4 al 97,5 e nell’artigianato dal 110,5 al 97,5, praticamente azzerando per entrambi la lenta ripresa degli ultimi cinque anni.

Il trend della produzione cremonese è allineato con quello lombardo e nazionale, con l’indice a base 2015 della produzione che scende sotto il livello dell’anno di riferimento.
Anche le variazioni su base annua non si discostano significativamente fra di loro, ma la provincia di Cremona è quella che, col suo -8,6%, ne esce meno peggio: in Lombardia si rileva il -10,1% ed in Italia il -11%.

In Lombardia, con l’eccezione di Lecco, dove la contrazione produttiva sul trimestre precedente è particolarmente contenuta (-0,8%), tutte le province sono comprese tra il -6,5% di Cremona ed il -13,2% che si rileva a Brescia.

Analoghe osservazioni riguardano l’artigianato produttivo, che presenta difficoltà maggiori rispetto all’industria. Come per il comparto industriale, viene risparmiato, almeno per il momento, solo il livello occupazionale che non presenta differenze significative rispetto ai periodi precedenti. Rispetto allo stesso periodo dell’anno 2019, produzione ed ordinativi vengono rilevati in contrazione dell’11,3% ed il fatturato del 10,5%. La distribuzione delle imprese artigiane in base ai risultati produttivi ottenuti negli ultimi dodici mesi mostra un quadro strutturale ovviamente compromesso: le imprese che dichiarano la stabilità produttiva si confermano a poco più del 10% del totale, ma la quota di quelle in espansione tendenziale passa dal 50 al 27%, mentre sei artigiani su dieci, nei primi tre mesi dell’anno, hanno prodotto meno che nello stesso periodo del 2019.

Le aspettative per il prossimo trimestre degli imprenditori industriali, che ovviamente tengono conto degli effetti del successivo lockdown, sono negative per tutti i principali indicatori e, in questo caso, coinvolgono nel pessimismo anche il livello occupazionale. La maggioranza assoluta degli imprenditori industriali (tra il 54 ed il 56%) si attende diminuzioni sia nel livello della produzione che in quello degli ordinativi interni. Appena al di sotto del 50% è la quota dei pessimisti riguardo agli ordini esteri, mentre per l’occupazione, otto imprenditori su dieci si attendono stabilità e due un calo.

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