Cronaca

Il Covid visto da Erika, svedese a Cremona: 'La quarantena? Da noi è così tutto l'anno'

Cremona e i giorni difficili della pandemia sono stati raccontati dai maggiori network mondiali, tra l’altro con i reportage di Sky dall’ospedale o grazie alla risonanza mediatica di uno staff internazionale come quello dei Samaritani. Ma molte di quelle notizie, con il pregio di essere in presa diretta, sono arrivate anche in una piccola regione della Svezia meridionale, grazie al racconto di Erika Winblad, cremonese d’adozione e originaria di Valdemarsvik, cittadina di 7000 abitanti incastonata in una  baia del mar Baltico a sud di Stoccolma.

Il suo resoconto di una Cremona in trincea, con i morti che si contavano a decine, è stato pubblicato dal giornale online Dagen Västervik, dal nome di un’altra città costiera. “Ci vive una delle mie sorelle e credo di essere stata contattata per questo”, dice Erika, dal 2001 a Cremona, sposata, tre figlie e un lavoro in Provincia. “Volevano avere una testimonianza da questa città purtroppo diventata un luogo molto noto all’estero, di cui tutti hanno parlato. Molti altri miei conoscenti e amici mi hanno contattato, per conoscere come era la situazione.
“Diciamo subito che in Svezia hanno vissuto la situazione in modo molto diverso. Gli svedesi fanno sempre molta leva sul senso civico, per cui ci sono pochissimi divieti. In generale la gente rispetta le leggi come i figli nei confronti di un padre. Per questo ha suscitato molto stupore che qui in Italia fosse vietato per decreto uscire di casa, o spostarsi in un’altra città, e che le persone siano state sottoposte a controlli nei loro movimenti”.

La scelta svedese, come noto, non ha previsto lockdown, confidando appunto nel senso di responsabilità dei suoi abitanti: ma aprile è stato anche lì il mese più mortale da quasi tre decenni a questa parte, con  10.458 morti, su una popolazione di 10,3 milioni di persone. E attualmente i confinanti Stati scandinavi, dove invece alcune restrizioni sono state attuate, vogliono chiudere le frontiere. Negozi,  ristoranti, aziende, scuole (fino alla fascia dei 15-16 anni) sono rimasti aperti: il sistema scolastico ha retto anche per consentire ai genitori occupati in sanità di poter garantire la loro presenza al lavoro. “Qualche suggerimento alla cautela c’è stato – racconta Erika – ma parliamo di cose come l’invito a non fare spostamenti oltre le due ore di distanza dal luogo di residenza (ma in Svezia c’è ben poco oltre quella distanza), oppure la raccomandazione agli ultra 70enni di restare in casa”. Sarà così almeno fino al 15 luglio, quando dovrebbero riaprire anche gli aeroporti.

Scuole superiori e università invece sono rimaste chiuse, ma è stata sempre garantita la mensa per gli studenti provenienti dalle fasce più disagiate e fortemente a rischio povertà, quindi con una finalità sociale.

Ma come hanno reagito gli svedesi nell’apprendere quello che accadeva qui? “Erano e sono molto stupiti. Tra le cose più curiose per loro, ma devo dire anche per me, è stato scoprire di essere sorvegliati con i droni: lo abbiamo scoperto, io e la mia famiglia, un giorno che eravamo scesi in cortile a giocare. E poi a impressionare gli svedesi è stato l’uso generalizzato di guanti e mascherine, che là non vengono utilizzate così come da noi. Ma c’è anche molta partecipazione umana al dolore e  alle privazioni sopportate dagli italiani in tutto questo tempo”.

Per uno Stato che conta più o meno gli stessi abitanti della Lombardia, ma con una densità di quasi 20 volte inferiore, i due metri di distanza raccomandati in Italia per ragioni di sicurezza sono diventati quasi una battuta di spirito: “Due metri? Sono troppo pochi qui da noi, diceva uno scherzo alla radio. In effetti in Svezia la quarantena è una cosa naturale, scendere in strada e non incontrare nessuno là è normale. Credo che gli svedesi siano rimasti colpiti anche nel vedere quanto sono stati ligi al dovere gli italiani.  Io ho descritto il grande rigore che ho visto in giro: persone con le mascherine quando escono per strada, code ordinate fuori dai negozi o dagli uffici.  Molto senso civico, mai scene di nervosismo. Forse perchè a Cremona c’è un generale rispetto per le regole  … ma in generale, e rispetto alla Svezia, io noto che qui si lavora più ore, e con un senso di responsabilità e un rigore per molti versi superiore a quelli svedesi”.

Anche Erika è stata colpita dal virus, come tutto il resto della sua famiglia. “I miei genitori mi hanno sollecitato a raggiungerli in Svezia, ma non è stato necessario. Fortunatamente sono guarita, anche se dopo i primi sintomi lievi, con  febbre, male agli occhi, perdita di gusto e olfatto, è arrivato il respiro affannato e lì ho davvero temuto il peggio. Per fortuna, è andata bene”. g.biagi

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