Lettere

Cosa rimane di noi. A te Zio
e a tutti quelli che come
te se ne sono andati

da S.C. 

Dopo quella chiamata delle 5 del mattino a cui ho potuto rispondere solo aspettando mattina, bloccata in quattro mura che prima chiamavo casa, sono dovuta andare in Ospedale a prendere le tue cose; credo che in questi giorni tanti come me abbiano intrapreso il medesimo penoso percorso. 

Con il fiato corto ho attraversato il silenzio surreale dei corridoi e faticosamente mi sono inerpicata sulle scale fino al terzo piano, appesantita più dal dolore nel cuore che non dal respirare nella mascherina. Arrivata davanti alla porta del reparto, ho suonato e atteso. Un’operatrice molto carina per quanto stanca ha trascinato fuori ciò che rimane dite. Davanti a quel sacco chiuso con solo un’etichetta con il tuo nome mi sono sentita smarrita. Ho sentito scivolare via da me il senso, lo scopo di questo continuo incespicare. Davanti a quel sacco e a quella porta chiusa ho sentito il vuoto totale che lascia il senso di impotenza. 

Passiamo la vita a tentare di controllare tutto, di programmare ogni dettaglio, come umanità abbiamo persino la convinzione di poter piegare al nostro volere il destino. Corriamo come pazzi, continuamente, senza renderci conto di cosa lasciamo dietro di noi, talmente di fretta che nemmeno lo vediamo. 

Per arrivare dove poi? Non posso accettare che la risposta sia solo quel sacco. Nella convinzione di avere potere sul mondo, sul tempo e sulla storia, sono rimasta pietrificata davanti a quella porta, svuotata da ogni convinzione insita nell’essere umano. 

In questo tempo sospeso, in questo spazio che si dilata enormemente tra noi e gli altri, in questi giorni che si susseguono uno uguale all’altro durante i quali è difficile perfino darsi uno scopo… Mi sono resa conto che nel nostro procedere, come Homo Sapiens, abbiamo calpestato la Terra, gli esseri viventi, il rispetto e perfino i nostri simili… Ora un “esserino”, che poi i Virus non sono nemmeno del tutto esseri viventi ma sono qualcos’altro che per ora la scienza nemmeno ha capito del tutto, ci ricorda che non siamo “niente”. Il controllo che crediamo di avere è un’illusione. 

Le corse sui tram, in macchina, sui treni, lo scapicollarsi continuo in tutte le stazioni del mondo trascinando i nostri pesantissimi bagagli, inchiodati davanti ad un qualcosa che nemmeno possiamo vedere, così minuscolo da essere circa 600 volte più piccolo del diametro di un capello umano; se fosse enorme come una formica l’avremmo già schiacciato. Ma sta volta non possiamo. Questa volta non rimane altro, oltre senso di smarrimento e precarietà, che domandarci cosa abbiamo fatto finora, come abbiamo speso il tempo. 

Forse questa “guerra” combattuta senza il boato delle bombe, può essere l’occasione per chiedersi cosa abbiamo seminato, non solo come singoli, ma come umanità intera. Io non lo so ancora, spero solo di poter far tesoro dei miei errori. Dovremmo prendere questi giorni oscillanti tra il nulla e il non-senso come occasione per domandarci davvero cosa stiamo combinando. 

Spero possa essere l’occasione per renderci conto di cosa conta davvero, per rimettere in fila la lista di quelle consideriamo “priorità”, ricominciare a dare valore al tempo, non inteso come quello delle grandi occasioni, ma il tempo per stupirsi, di prendere fiato, il tempo anche solo per fermarsi. 

Potrebbe essere l’occasione per renderci conto che siamo ospiti qui, non più di quanto lo sia una formica, un elefante, una balena, uno scarafaggio o… un virus e per quanto ci illudiamo che sia diverso non abbiamo più diritti di loro su questa Terra. Abbiamo l’occasione per ritrovare il rispetto per Noi, per i Nostri simili, per le persone che amiamo e anche per tutto ciò che simile a noi proprio non è. 

Forse questo “esserino” di un centinaio di nanometri di diametro ci mette davanti ai conti da fare con noi stessi, con le occasioni perse. Ci insegna che la voglia di emergere vale se non si affonda il prossimo, chiunque esso sia, che il confine tra l’accettato e il rifiutato, tra l’accolto e l’accogliente, tra torto e ragione, tra lo sviluppo e la distruzione, non è molto più spesso del confine tra la vita e la morte, che in questi giorni abbiamo imparato avere la consistenza di un respiro, l’ultimo. 

In questi giorni senza senso; il ruotare delle lancette degli orologi sono quasi assordanti e ci ricordano che il ticchettio del tempo continua, e sempre a nostro sfavore. A te Zio, e a tutti coloro i quali che in questi giorni si sono addormentati soli, questo rumore non disturba più, per Voi il ticchettio si è fermato. Spero che tu possa trovare la strada di casa e auguro a tutti Noi, intendo l’umanità intera, di fare tesoro del suono del tempo che scorre. Fate buon viaggio anime lievi, ci vediamo alla prossima fermata.

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