Cronaca

Don Piccinelli, parroco a Soresina: 'Signore non so più come giustificarti'

“Signore, è finita un’altra giornata. Nella nostra bella chiesa di S. Siro, che da quattro settimane non raccoglie il tuo popolo, siamo qui solo noi: io e Te”.

Sono le parole con le quali don Angelo Piccinelli, parroco di san Siro a Soresina, avvia la lettera domenicale sul giornale della parrocchia. Soresina è uno dei centri cremonesi più colpiti dall’epidemia da Covid 19: 94 –  è l’aggiornamento del sindaco Vairani di qualche ora fa – sono le persone fino a ieri contagiate, non solo persone “fragili” ma anche giovani. 13 persone sono in condizioni gravi di salute e 13 quelle decedute.

“Sono un po’ stanco – prosegue il dialogo con Dio di don Piccinelli – ma non di lavoro. Anzi, l’inerzia mi affatica di più. E’ un mutismo pieno di angoscia che si prolunga da troppo tempo, interrotto solo da richiamo, benedetto e malinconico, delle nostre campane e dall’eco, sempre più frequente e insopportabile, della sirena di qualche ambulanza. Ecco, Signore, senti? Il terribile virus, che sta destabilizzando Soresina e il pianeta, ha colpito un altro di noi”.

“Quando finirà, Signore, lo stillicidio di questa maledetta epidemia? Il buio, qui in chiesa, avvolge ogni cosa: l’unica luce è quella accanto al tabernacolo. Sei presente, Signore, ne sono certo, e compatisci la mia impertinenza. Tanta gente, anziani e giovani, genitori e figli, e perfino i nostri bambini, Signore, ti supplicano: si attendono un segno di compassione. Si fidano di Te. E si affidano. Anche chi non crede – o crede di non credere – mendica, con commovente umiltà, il favore dell’intercessione”.

“E a chi vorrebbe spiegazioni teologiche comprensibili e persuasive non so più cosa rispondere. Ho esaurito gli argomenti “teorici”. Signore, non so più come giustificarti. E poi, quando siamo qui soli, io e Te, nella nostra chiesa, così solenne e così vuota, mi lascio andare ad un pianto senza ritegno, pensando all’uno e all’altro, a lui e a lei sorpresi e strangolati dal killer invisibile, al medico e al farmacista, al pensionato e al lavoratore in piena attività, al vecchio padre e al marito di mezza età, al disabile della nostra Comunità Albergo e all’ospite della Casa di Riposo. Questa epidemia non ha alcuna pietà e non risparmia nessuno, Signore. E io non ti accuso di essere il regista di tanto malessere: so per certo, e per esperienza, che la causa del male, di ogni male e di tutto il male è solo il Maligno. E mi rifiuto anche di pensare che una simile “strage” sia una insindacabile “punizione divina”: semmai è la conseguenza di tante scelte sbagliate, libere e demenziali, che ci hanno fatto morire prima nell’anima e ora nel corpo, vittime della nostra stessa arroganza. Vogliamo essere uguali a Te: ma una follia diabolica ci spinge a pretendere la tua somiglianza come un diritto piuttosto che a riceverla come un dono”.

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