Cronaca

'I cellulari fanno male': a Cremona la prima sentenza sul nesso telefono-tumori

C’è un nesso tra l’uso scorretto del cellulare e l’insorgenza di alcune tipologie di tumore. Lo sostiene la Corte d’appello di Torino che ha confermato la sentenza di primo grado del tribunale di Ivrea, emessa nel 2017, sul caso sollevato da un dipendente Telecom Italia, Roberto Romeo, colpito da neurinoma del nervo acustico, un tumore benigno ma invalidante.

La sentenza di Ivrea che ha riconosciuto il nesso di causa tra uso improprio del cellulare e tumore al cervello non è la prima. Sullo stesso caso si erano già pronunciati i tribunali di Brescia e Cremona. La prima sentenza in assoluto risale al 22 dicembre del 2009, quando la Corte d’appello di Brescia, presieduta dal giudice cremonese Antonella Nuovo, aveva riconosciuto a Innocente Marcolini, bresciano, ex dirigente aziendale, la malattia professionale e un grado di invalidità dell’80% in seguito ad un tumore benigno al nervo trigemino riconosciuto dai giudici come conseguenza dell’uso prolungato del telefono cellulare. In primo grado il giudice del lavoro aveva dato ragione all’Inail, controparte nella causa, negando la connessione tra l’uso del telefonino per scopi lavorativi e l’insorgere del tumore. La Corte d’appello, invece, aveva accolto la tesi di Marcolini, così come aveva fatto tre anni dopo la corte di Cassazione, rendendo definitiva la sentenza.

Un precedente di questo genere c’era stato nel 2015 anche a Cremona, ma in quel caso il giudice del lavoro Giulia Di Marco non aveva riconosciuto al ricorrente il nesso di causalità tra l’uso del telefono e l’insorgenza di un tumore alla parotide. In quella causa era stato nominato come consulente Alessandro Polichetti, primo ricercatore del Centro nazionale per la protezione dalle radiazioni e fisica computazionale dell’Istituto superiore della Sanità. Nella causa cremonese, l’esperto si era detto in disaccordo su un possibile nesso causale cellulare tumore.

A riaprire il dibattito, ora, è arrivata la pronuncia della Corte d’appello di Torino secondo cui “esiste una legge scientifica di copertura che supporta l’affermazione del nesso causale secondo i criteri probabilistici ‘più probabile che non'”. Una decisione che contrasta con l’ultimo rapporto dell’Istituto superiore di sanità dello scorso agosto secondo cui l’uso del cellulare non risulta associato all’incidenza di neoplasie nelle aree più esposte durante le chiamate vocali, nonostante l’esigenza di continuare ad indagare sui rischi legati all’utilizzo fin dall’infanzia.

Sara Pizzorni

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