Cronaca

Crisi e affitti da 9mila euro al mese, così chiudono i negozi storici Una mappa desolante

Tra la fine del 2011 e l’inizio di quest’anno, Cremona segna un’ecatombe di negozi storici. Colpa della crisi, non c’è dubbio, ma anche di affitti stellari (in alcuni casi superiori a quelli della metropoli) e di un centro storico distrutto dalla politica amministrativa (e quindi urbanistica) di questi anni. Basta guardarsi intorno nello struscio pomeridiano del sabato. Hanno abbassato le serrande esercenti storici: il negozio di arredamento Style di piazza Roma (lato edicola), ceramiche Zeliani di via Solferino, Lord John di corso Mazzini, Arredamenti Decora di piazza Cittanova-Sant’Agata (si trasferirà in un ambiente ridotto di via Manzoni), il grande negozio di arredamento Home tra piazza Roma e piazza Filodrammatici,  Scarpe Bata nell’interrato di corso Vittorio Emanuele (Oviesse), il negozio di articoli-regali sempre in corso Vittorio Emanuele. Per fine mese ha annunciato la chiusura anche CoinCasa di corso Campi. Ma sbaglia chi pensa che l’addio di negozi storici sia solo effetto della crisi (con una contrazione intorno al 10% dei consumi). C’è molto di più. Pensate che CoinCasa paga di affitto oltre 9 mila euro al mese. Come è possibile sostenere simili costi? Ed ancora sapete qual è l’affitto del vicino negozio di intimo? Dodicimila euro al mese. Quante mutande, calze, reggiseni si devono vendere per pagare simili affitti, consumi e commesse? Ed ancora un negozio di corso Garibaldi – ci dice un esercente – ha chiuso perchè l’affitto di 3800 euro al mese era diventato non sostenibile. Guardate com’è ridotto proprio corso Garibaldi. Com’è il commercio in piazza Marconi dove neppure il parcheggio ha portato gente.

Eppure qualcosa si è mosso anche verso nuove aperture: c’è chi nonostante la crisi, o forse spinto proprio dalla crisi e dalla perdita del proprio impiego, si è buttato in un’attività imprenditoriale legata al commercio. Tanti i giovani. Ma fin quando dureranno?

L’idea di Monti di liberalizzare orari e aperture avrà probabilmente l’effetto di far abbassare le saracinesche ad altri esercizi commerciali.

E nel nostro tour ci siamo limitati al solo centro città. La periferia è ancora peggio. Alimentari, abbigliamento, calzature, bar: in alcune vie si è fatto il deserto commerciale (pensate a via 20 settembre, che è dal centro porta alla periferia, ad esempio).

La grande distribuzione, con le liberalizzazioni di Monti, è l’unica ad avere le possibilità di aprire come e quando vuole, magari anche attraverso contratti flessibili dei dipendenti per le aperture domenicali – come segnalano i sindacati.

E poi la città. Se si escludono i giorni di mercato, i giovedì d’estate e la festa del Torrone per il resto è il nulla. Segnaletica che imbottiglia il traffico, fantasiosa Ztl, manifestazioni di poco richiamo e di dubbio gusto, animazione solo nei centri commerciali o al quartiere fieristico (perchè non si pensa ad una integrazione tra quanto avviene a Cà de’ Somenzi e il rilancio della città?), nessuna grande mostra o avvenimento che porti gente da fuori. La piccola Crema sotto questo aspetto insegna. Ma anche le vicine Mantova, Piacenza o Parma.

Cremona resta al palo. E senza animazione, senza il commercio, senza le vetrine luminose la città si fa dormitorio. E’ incapacità o c’è un disegno?

 

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