Cronaca

Greta e Annise raccontano il caso di Alice: '5 denunce senza effetto, poteva finire male'

CASALMAGGIORE – Non deve vincere la paura. Ma per fare in modo che non vinca c’è bisogno di maggior attenzione e consapevolezza che, in determinate situazioni, anche la vita è un attimo soltanto e va tutelata al meglio. Non è stato così, detto fuori dai denti, ed il rischio che si è corso che quella furia cieca sfogata sull’autovettura potesse essere cagione di qualcosa di irreparabile è stato più che reale.

Cinque denunce senza alcun provvedimento, nonostante la presenza di minori e di una rete, quella di MIA e del Centro Antiviolenza, che si è attivata da subito, sin dall’ottobre scorso. Un racconto circostanziato quello di Annise Grandi e Greta Savazzi che peraltro, il 22 luglio quando il 39enne di origini indiane si è presentato nella casa dove la ex moglie stava recuperando alcuni oggetti, armato di cacciavite ed accecato dalla rabbia, rabbia poi sfogata sulla vettura, era con Alice (il nome, per ovvi motivi, è di fantasia). “Poteva finire male” racconta, ancora visibilmente scossa.

Nei giorni scorsi  le due referenti di MIA hanno sentito il dovere di raccontare tutta la vicenda dalla sua genesi. In anni di lavoro continuo e nell’ombra, non lo avevano mai fatto. Ma forse è giunto il tempo che le cose si sappiano, e vengano raccontate per quel che sono. Perché prevenire, oltre che possibile, è pure e spesso questione di vita o di morte. E perché la paura non deve vincere. E nemmeno la violenza.

“Le operatrici del Centro Antiviolenza M.I.A. di Casalmaggiore (Cr), in seguito ai gravissimi fatti verificatisi il 22 luglio a danno di una donna e dei suoi bambini, ritengono necessario sensibilizzare l’opinione pubblica con particolare riferimento agli Organismi dell’Autorità Giudiziaria territorialmente competente, al fine di prevenire ulteriori e irreparabili fatti di violenza”. Queste le motivazioni, e poi il racconto circostanziato dei fatti.  “Alice – spiegano Greta ed Annise – si rivolge per la prima volta al Centro Antiviolenza nell’ottobre del 2018, portando alla nostra attenzione una situazione famigliare caratterizzata da un elevato grado di violenza fisica, psicologica ed economica agita dal marito nei suoi confronti, spesso alla presenza dei due figli minori; una violenza divenuta nel corso degli anni insopportabile e pregiudizievole l’incolumità della donna e la sana crescita dei figli.

A Novembre 2018 vengono depositate le prime 2 denunce presso la Procura Ordinaria della Repubblica Italiana a Cremona, denunce che sanciscono l’avvio delle indagini di polizia giudiziaria volte a verificare la veridicità delle informazioni rese dalla donna e la necessità di intraprendere eventuali misure a tutela delle vittime.

A gennaio 2019 si concludono le indagini ma non fuoriesce alcuna misura che possa determinare qualche forma di protezione per la donna e i bambini. Si attiva la “rete antiviolenza territoriale”: servizi sociali, tutela minori, forze dell’ordine e centro antiviolenza collaborano per dare supporto alla donna ed ai suoi bambini e costruire un progetto di tutela e sostegno. La convivenza dei coniugi diventa insostenibile per i continui agiti violenti dell’uomo a danno della donna e dei figli. La donna procede quindi alla formalizzazione, presso la Procura, di ulteriori due denunce, a Febbraio e a Maggio del 2019, denunce che determinano il riavvio dell’iter di accertamenti sopra descritto. A Giugno 2019 la situazione si inasprisce ulteriormente, la donna richiede più volte l’intervento delle forze dell’ordine  locali per la paura, ormai divenuta costante, che l’uomo possa fare male a lei e ai propri figli.

A Luglio 2019 il legale del Centro Antiviolenza deposita un’istanza presso la Procura Ordinaria di Cremona volta all’ottenimento della Misura cautelare che si riteneva opportuno ottenere già dal 2018 stante la gravità dei fatti riportati dalla donna in sede di denuncia e soprattutto la presenza dei due minori. In data 13 luglio la donna formalizza la quinta denuncia per gravi atti persecutori.

Il 22 Luglio la donna si deve recare presso la propria abitazione per ritirare alcuni effetti personali e alla luce delle minacce ricevute durante la notte precedente, chiede di essere accompagnata da un’operatrice del Centro Antiviolenza”.

Ad accompagnarla è Greta Savazzi: “Giunte davanti alla casa, in attesa dell’arrivo delle FF.OO che avrebbero garantito l’ingresso in sicurezza nell’abitazione, trovano l’uomo che si era nascosto e che, appena vede la moglie, inizia a minacciarla con un grosso cacciavite. La donna e l’operatrice riescono a rifugiarsi dentro ad un bar adiacente la casa con l’aiuto dei gestori e di alcuni clienti che riescono ad impedire all’uomo di avvicinarsi alla moglie.

Uscito dal bar, l’uomo sfoga la sua rabbia distruggendo completamente l’auto della moglie, riportando alcune ferite. Scortato dalle FF.OO. viene condotto in Pronto Soccorso, dove di fronte al personale sanitario ed ai carabinieri ribadisce la sua intenzione di portare a compimento il proprio obiettivo, cioè “uccidere la moglie”.

A questo punto, quelli che possono sembrare gli interventi più efficaci per “fermare” l’uomo non vengono attuati: la possibilità di procedere con un trattamento sanitario obbligatorio non viene ritenuta dai Sanitari percorribile, tantomeno la Procura di Cremona accoglie la richiesta delle FF.OO. di procedere all’arresto dell’uomo, in quanto “non colto in flagrante”.

L’uomo, troppo “lucido” per poter essere ricoverato in modo coatto e “troppo poco pericoloso” per essere arrestato, viene quindi rilasciato. Alla luce di questi fatti, per garantire la sicurezza alla donna e ai suoi bambini, non resta che portarli in una struttura protetta.

E’ estremamente difficile sintetizzare in poche righe una storia così complessa ma soprattutto, al di là del mero elenco di fatti e azioni, far comprendere il livello di sofferenza, di stress e di paura di cui la donna ed i suoi bambini sono stati vittime.

In questi mesi la Rete Antiviolenza si è attivata, sono state messe in campo risorse ed energie sia da parte dei soggetti della rete ma soprattutto da parte della donna stessa per intraprendere un percorso di fuoriuscita dalla violenza e attivarsi in una nuova vita completamente da ricostruire”.

Le amare conclusioni: “Purtroppo questo non è bastato, 5 denunce per maltrattamenti e atti persecutori non sono state sufficienti per far emettere le misure cautelari, gli ultimi episodi di violenza non sono stati considerati sufficientemente gravi da condurre all’arresto dell’uomo ma ovviamente, sono stati valutati sufficientemente rischiosi da richiedere un allontanamento della donna e dei bambini. Donna e bambini costretti a lasciare la propria casa, a vedersi limitare la propria libertà, a nascondersi… donne e bambini doppiamente vittime, mentre il protagonista delle violenze resta libero di muoversi.

Spesso servono anni affinché le donne si decidano a chiedere aiuto, servono tempo e tanti sforzi perché le donne si fidino delle istituzioni e si convincano che la denuncia sia lo strumento indispensabile per “fare giustizia”. Ma dopo i fatti che abbiamo descritto, servirà molto più tempo ad Alice e a tutte le donne come lei per ritrovare la fiducia e la forza per non arrendersi”.

L’uomo è ancora in giro, libero di muoversi. Alice ed i suoi figli sono ora in una struttura protetta e segreta. Hanno dovuto arrendersi di fronte ad una legge e ad uno stato che non sa proteggerli, quasi fossero i colpevoli. “Non sappiamo dove sia in questo momento – chiudono le referenti di MIA – ma potrebbe essere ovunque. E’ stata Alice ed i suoi figli a doversene andare, per sentirsi al sicuro. Ed i bambini a dover subire il trauma di essere sradicati dai propri luoghi per andarsene altrove”. C’è tutta la delusione, ma anche il coraggio di voler andare avanti. Anche perché altre situazioni come quella di Alice – a detta delle operatrici – sono presenti nel territorio. Bombe ad orologeria pronte ad esplodere se nessuno vi pone rimedio.

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