Cronaca

Dal cremonese 36 quintali di aiuti per gli animali. Nelle frazioni di Amatrice con Wwf

AMATRICE – “Non è cambiato niente”, ti spiegano un po’ tutti, in una sorta di mantra introduttivo di ogni conversazione. “Non è cambiatto niente” ti raccontano a Sommati, Capricchio, Torrita, Prato, Cornillo Vecchio e Cornillo Nuovo, Conche di Scandarello, Casali di Sopra, Retrosi. E vorresti fosse solo un attimo di debolezza, una sorta di lamentazione. Ma poi ti accorgi che è cambiato poco o nulla. Nulla in tanti dei luoghi in cui cammini e vedi le stesse pietre posate, le stesse macerie, la stessa fatica – immenso fatica – di vivere.

Alle pietre si sono quasi abituati, come alle case che restano su ma sono da abbattere, simulacri di quel che è stato, tombe e sudari di ogni speranza. Ma il vero problema non sono le pietre. “A quelle ci si fa l’abitudine” racconta un volontario del luogo. E’ che non è cambiato nulla nell’economia, quell’economia di sussistenza o economia zero che non consente di farsi troppe illusioni.

Ci sono allevatori, nelle frazioni alte, che si stanno ‘svendendo’ i capi di bestiame ad uno ad uno perché poi, quando i soldi servono, non c’è altro sistema per incamerare qualcosa per andare avanti. “Stiamo morendo un po’ per volta – ci racconta un allevatore di cavalli – un po’ di più ogni giorno”. Aveva un’attività prima del terremoto. Un centro di ippoterapia, un agriturismo con qualche stanza. Lavorava con i bambini, con i portatori d’handicap. “Ho 15 mila euro di tasse in sospeso che prima o poi lo stato mi chiederà, e 5 mila euro di bollette dell’elettricità da pagare. Perché poi, d’inverno, le roulotte non le puoi scaldare in altro modo che con l’energia elettrica”. Fissa quella che era – prima del terremoto – la struttura che gli dava da vivere. Il terremoto ha fatto ‘scivolare’ il terreno di una 30ina di centimetri verso valle. E se da un lato quella costruzione sembra non aver subito grossi danni, dall’altro, quello che dà verso il paese, il muro di cinta si è staccato dagli angoli. La casa – e il centro dell’attività – è irrecuperabile.

A presidiarla è restato il padre che da lì non se ne è mai voluto andare. Lui fa la spola tra i cavalli e Roma, dove ha spostato la famiglia. Due piccole ragazzine che d’estate sono su con lui e vivono tra i cavalli ed un piccolo angelo biondo che non si ferma mai. “Chi sei?” ti chiede. E poi subito dopo “Io non so se sei mio amico”. Si vede talmente poca gente da queste parti che le parole del bimbo sono una certezza assoluta, e una candida sentenza. Rispetto all’ultima volta che il gruppo di Cremona era giunto sin quassù una novità c’è. E’ nata Olimpia. “Non l’abbiamo voluta, è figlia di consanguinei ma al momento non sembra avere nessun tipo di problema. Ora ce la teniamo”. E’ la gioia delle bambine che la spazzolano e l’accarezzano.

“Vado avanti e resisto per loro – ci spiega il padre – anche se la vecchia casa non mi danno il permesso di abbatterla e non vengono a buttarla giù. Volevo ripartire da una piccola struttura in legno, avevo già gettato le fondamenta ma poi mi hanno fermato, ed è già tanto che non mi abbiano dato una multa. Per quella fendamenta mi hanno spiegato facciamo finta di niente. Non ci consentono di ripartire, neppure se diciamo loro che ci facciamo tutto noi. Moriamo così, un po’ per volta”.
Piccoli segni di vita tra le pietre. Le piante grasse che crescono su un balcone a Capricchio. Su un balcone chiuso da tre anni. I gatti che si muovono tra i sassi e le aree irraggiungibili.

“Non è cambiato niente”. E’ lo stato a mancare. Dell’istituzione qui in tanti non sanno neppure che farsene. Un’entità astratta, assente, inutile. C’è chi resiste, chi fa le cose comunque e va avanti, anche contro la burocrazia e le leggi. C’è chi vive comunque nelle case inagibili. Una coppia di ragazzi è rientrata a casa. Non vogliono arrendersi neppure all’evidenza. Daltronde, un’ottantina di km più in là, in una frazione poco distante dall’Aquila (terremoto del 2009) ci raccontano che c’è chi la sera rientra nella casa di famiglia. In paesi fantasma, in case inagibili. Accettano il rischio perché poi, alla fine, quando la speranza muore, non resta che la speranza della disperazione.

Sopra Amatrice c’è un paese fantasma. Restano due anziani in una casa di legno ed un allevatore di capre e cavalli che fa avanti e indietro tra la SAE che gli han concesso in un paese più in basso. “Ho chiesto di potermi rifare una casa in legno qui, dove ho i miei animali. A mie spese, non voglio nulla. Ma mi hanno detto no. Ho chiesto se mi potevano spostare la casa che mi hanno dato giù, ed anche quello non è possibile. Che dobbiamo fare? Prendiamo quel che viene e facciamo quel che possiamo”. I suoi formaggi di capra sono deliziosi. Li fa senza nessuna speranza di poter trasformare quella sua dote naturale in attività. Lassù, dove vive, non danno il permesso di fare nulla. Una cella frigo, una struttura per la produzione. Una cazzo di speranza. Nulla.

Lo stato non c’è, non esiste. Ce l’hanno con Pirozzi, con chi lo ha sostituito, con Zingaretti, con il governo, con i vertici: “Mattarella è venuto ad inaugurare adesso una scuola che è già aperta da settembre – ci racconta un altro allevatore – è arrivato, è stato pochissimo tempo, poi si è fatto un giro per vedere la situazione dall’alto con un elicottero. A quella inaugurazione ad Amatrice non sarebbe dovuto andare nessuno. Avremmo dovuto avere più coraggio, fare quello che lo stato fa per noi, nulla. Ma non siamo uniti neppure tra di noi. Io comunque non sono andato. Mia moglie è dell’aquilano, ha una piccola casa lì. Non abbiamo ancora avuto il permesso di fare qualcosa neppure lì”. Il terremoto è quello del 2009. Sono passati 10 anni.

Capricchio è un paese fantasma. Le SAE sono state edificate 200 metri più in basso. Ci sono ancora le macchine sotto le macerie, le macerie esattamente dove erano tre anni fa, ed una piccola fontanella ancora funzionante che dà al silenzio del luogo una sensazione pesantissima di angoscia. In compenso, dove non entrano più gli uomini sono entrati i ladri. Hanno portato via il rame e tutto quello che hanno potuto portar via da quelle strutture senza più nessuna protezione. Una giovane coppia che vive a Roma aveva casa in centro paese. Vorrebbe recuperare la stufa a pellet appena acquistata poco prima del terremoto. E’ al primo piano di quel che resta della casa. “Resterà lì dov’é. La scala per andare su si è staccata di 4 centimetri dal muro, non si può più andare su”. Sono venuti in paese anche per fare gli auguri ad una signora che compie gli anni e che è voluta restare, una casetta in legno e due coperture di emergenza al posto della stalla, e le mucche.
“Non vado più in paese da quando c’è stato il terremoto, mi viene da piangere”.

A Sommati il cimitero sembra essere tenuto in piedi con lo schoch. Meglio dei primi tempi quando le bare erano accatastate fuori dai loculi. Ce ne sono altri sulla strada che sono messi anche peggio. Tanto i morti alla fine non si lamentano. Qui – a Sommati –  è morta della gente. “Ero lì quando gli hanno tirati fuori, ‘gli inglesi’. Due erano già morti, due ancora vivi ma non so che fine abbiano fatto”. Sommati adesso è un insieme di SAE, case da abbattere e ancora qualche roulotte dove qualche allevatore vive. Ce n’è uno, dall’altra parte della strada rispetto alle SAE, che di roulotte ne ha due. Entrambe praticamente da buttare dopo tre anni. Una ha il pavimento sfondato. L’acqua gli arriva con una canna, i panni se li va a lavare da un’altra parte. L’elettricità è un impianto di emergenza.

Restano, nelle frazioni alte di Amatrice, quelle che segue (ormai è la 14ima volta in tre anni) il gruppo di Amici Centro Italia formato da volontari di Cremona, Parma, Casalasco e Remedello pochi – ed encomiabili – i volontari sul posto. Il WWF di Terni, qualche cane sciolto e poco altro. E gli aiuti si sono a mano a mano diradati. Ormai sono pochi anche i mezzi che arrivano sino a qui. “Uno deve venire qui per rendersi conto di quella che è la situazione, perché in TV fanno vedere sempre Amatrice dove qualcosa è stato fatto, e fanno vedere le immagini di dove qualcosa è stato fatto. ma i problemi non sono lì. La gente che ha bisogno non è lì”. Ci sono piccoli borghi, ormai disabitati, come Conche presidiati da qualche persona. A Conche ne resta una che vive in una roulotte. Ci sono i gatti ed i cani. Ci sono i ricordi struggenti della poesia di un borgo appoggiato al lago. C’è una resistenza che va avanti per forza d’inerzia. Che si spegnerà quando a Conche come a Poggio Vitellino anche gli ultimi anziani morranno. Quelli che, quando tu li guardi e chiedi l’età ti meravigli perchè dimostrano almeno dieci anni in più di quelli che pensi tu.

Lo stato non c’è, non esiste. Vorresti fosse solo una lamentela. Ma spesso ti rendi conto che la realtà è molto più simile a quell’epitaffio che ad ogni tipo di speranza che puoi nutrire. Tanti piccoli borghi resteranno nei ricordi. ferite profonde e laceranti. Tante piccole imprese scompariranno, tante altre sopravviveranno. “Non è cambiato niente”. Nonostante ci sia ancora tanta gente che lotta, spera, va avanti, prega o bestemmia, piange, ricorda, sorride, abbraccia i pochi che ancora vengono. “Non è cambiato niente”. E non sono le pietre. E’ il resto che langue.
A mero dato di cronaca, 36 quintali di aiuti per gli animali sono stati portati giù dal cremonese. Prossimo viaggio a settembre. Cremona c’è, con quel poco che può fare, insieme al WWF Umbro, non ha mai mollato. E c’è il casalasco che ancora non si arrende.

Nazzareno Condina

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