Cronaca

Scommesse, Gervasoni drogato dal Minias: 'Ero rimbambito' Saltato l’esame di Paoloni

Nel riquadro, Gervasoni in aula, mentre a destra Paoloni e il suo avvocato Luca Curatti

E’ ripreso oggi davanti al collegio composto dal presidente Maria Stella Leone e dai giudici a latere Giulia Masci ed Elisa Mombelli il processo sulla maxi indagine del calcio scommesse. Sentito come testimone Carlo Gervasoni, ex giocatore della Cremonese e del Piacenza che aveva già patteggiato due anni dall’accusa di associazione per delinquere finalizzata a manipolare le partite.

Durante l’esame, Gervasoni ha ricordato di quando aveva accusato un malore in seguito all’assunzione del Minias, l’ansiolitico che qualcuno aveva messo nell’acqua per alterare il risultato della partita Cremonese-Paganese del 14 novembre del 2010. “I primi sintomi sono stati dopo l’intervallo”, ha ricordato Gervasoni. “Avevo i tempi di reazione più lenti rispetto al solito. A fine gara avevo difficoltà a cambiarmi e a rimettermi i vestiti. Mi sentivo come rimbambito. Avvertivo sintomi di spossatezza, tanto che pensavo di covare un’influenza”. Dopo la partita, il giocatore si era addormentato al volante ed aveva avuto un incidente stradale dalle parti di Tortona. “Avevo difficoltà visive e motorie, ma pensavo di essere in grado di guidare. Ad un certo punto mi sono accorto di aver urtato una macchina e che mi mancava la ruota anteriore destra. Ero basito, ero fermo in corsia di emergenza e non mi ero accorto di quello che era successo. Era come se stessi vivendo in un mondo parallelo”. Sul posto era arrivata la polizia stradale e i test alcolemici su Gervasoni erano risultati negativi. “Il giorno dopo”, ha raccontato l’ex giocatore, “ero stato contattato dal medico della società. Avrei dovuto fare l’esame delle urine. Non ero stato l’unico, infatti, a stare male”.
Dalle analisi decise dalla società Cremonese ed eseguite al Policlinico San Matteo di Pavia erano state trovate tracce dell’ansiolitico nelle urine di coloro che avevano accusato i malori. A sporgere denuncia in Questura era stato il direttore generale della Cremonese Sandro Turotti.

In aula, ad ascoltare la deposizione di Gervasoni c’era il suo ex compagno di squadra Marco Paoloni, ex portiere di Cremonese e Benevento. Sarebbe stato lui, secondo la procura, ad aver ‘drogato’ gli ex compagni di squadra dopo aver fatto sciogliere l’ansiolitico Minias nelle bottigliette d’acqua durante la partita, poi finita con il risultato di 2 a 0 per i grigiorossi.

“C’erano persone esterne che di solito entravano negli spogliatoi?”, ha chiesto al teste l’avvocato Luca Curatti, che a Gervasoni ha fatto il nome di Marco Ferrante, il magazziniere della Cremonese, il cui telefono durante l’inchiesta era stato intercettato insieme a quello di Paoloni. “No, non si poteva entrare”, ha risposto l’ex giocatore. “Sì, Ferrante era uno dei magazzinieri che accedeva agli spogliatoi”. “Lo sa che poi è stato allontanato dal ruolo di magazziniere?”, gli ha chiesto ancora il legale della difesa. “Non mi ricordo”, è stata la risposta.

Nella sua testimonianza, Gervasoni, uno dei primi ‘pentiti’ dell’inchiesta, ha parlato del rapporto con Paoloni ed ha ammesso di aver manipolato una dozzina di partite con i suoi contatti nel clan degli zingari, in particolare con Gegic e Ilievsky. “Avevo preso casa dove abitava anche Paoloni. Spesso giocavamo a carte o andavamo fuori a mangiare. So che aveva l’abitudine di scommettere. Un giorno mi aveva proposto di manipolare una partita di Coppa Italia di C, era Cremonese Monza del 27 ottobre del 2010. Io ero d’accordo, ma l’abbiamo fatto con i miei di contatti e non con i suoi. Ero infatti già stato contattato dal clan degli zingari che ogni domenica mi chiedeva se ci fosse la possibilità di manipolare partite. Loro mi davano soldi anticipatamente. In quel caso 40.000 euro”. Gervasoni ha poi ricordato la partita Atalanta Livorno. “Quelli del Livorno si erano venduti la partita, ma in quell’occasione non era andata bene. Io e Paoloni eravamo in debito di 10.000 euro, lui aveva problemi economici e aveva difficoltà nel darmeli”. E poi la partita Atalanta Piacenza, “la madre delle scommesse”. “Avevo contattato Gegic”, ha ricordato in aula Gervasoni, “e gli avevo detto che si poteva perdere contro l’Atalanta. Gegic era venuto a portami i soldi e la partita era stata manipolata”.

“Se le dichiarazioni di Gervasoni avrebbero dovuto provare qualche responsabilità nei confronti del mio cliente, ciò non è avvenuto”, ha detto a fine udienza l’avvocato Curatti. “Per il resto, ragionare su partite più o meno combinate è storia vecchia, ormai”.

Oggi lo stesso Paoloni avrebbe dovuto essere sentito in aula, ma il suo legale, poiché mancavano due testimoni dell’accusa, ha chiesto di rinviare l’esame al prossimo 6 novembre.
Assenti erano Massimo Erodiani, l’allibratore di Pescara che risulta irreperibile, e il dentista anconetano Marco Pirani, assente ingiustificato e per il quale il collegio ha disposto per la prossima udienza l’accompagnamento coattivo.
In una delle ultime udienze si era parlato di una telefonata del 25 gennaio del 2011 tra Paoloni ed Erodiani nella quale i due facevano riferimento alla ricetta del famoso sonnifero identificato come Minias. Secondo quanto raccontato dagli inquirenti in aula, la ricetta era stata compilata da Pirani ed inviata tramite fax il giorno prima della partita ad un tabaccaio di via Fabio Filzi a Cremona. Era intestata alla moglie di Paoloni. La fotocopia della ricetta del farmaco è già stata acquisita dai giudici. “Non si tratta però di una ricetta originale”, ha precisato l’avvocato Curatti, “e per di più non riguarda il mio cliente. Non c’è stata alcuna ricetta ordinata dalla moglie di Paoloni a Marco Pirani”.

Nella prossima udienza, dopo l’esame dei testi rimasti, se ce ne sarà il tempo le due pm Ilaria Prette e Milda Milli cominceranno la loro requisitoria con le richieste di pena. Già fissate anche altre due date per chiudere il procedimento: il 20 novembre e l’11 dicembre prossimi.

“Ho chiuso con il calcio, non vedo più neanche una partita”, ha commentato Marco Paoloni prima di lasciare palazzo di giustizia. “All’epoca il procuratore Roberto di Martino mi aveva proposto un patteggiamento a un anno e dieci mesi e io avevo rifiutato. Ho sempre detto la verità e non ho mai ritrattato nulla. Dopo otto anni che aspetto, non vedo l’ora di dire la mia”.

Sara Pizzorni

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