Rapina alla banca di Piacenza Bloccato nella bussola, nessuno lo riconosce. Assolto
In tre, tutti a volto scoperto, il pomeriggio del 3 gennaio del 2011 avevano assaltato la Banca di Piacenza di via Dante, ma uno dei complici era rimasto incastrato nella bussola e non era mai entrato. A processo nessuno dei dipendenti ha saputo descriverlo e dunque non è stata raggiunta la prova che Vito Landolfi, 53enne milanese, fosse quel terzo uomo. Per quel tentato colpo, oggi l’imputato è stato assolto dal collegio dei giudici, mentre gli altri due che erano entrati nell’istituto di credito hanno già patteggiato davanti al gup Pierpaolo Beluzzi: si tratta di Marino Di Sessa, pregiudicato di 53 anni, e di sua figlia Deborah, 29 anni, di Bereguardo, in provincia di Pavia. I tre, che facevano parte di un gruppo di rapinatori accusati di aver messo a segno una decina di colpi in banche di tutto il Nord Italia, erano stati arrestati nel 2012 insieme ad altri complici al termine di un’operazione condotta dai carabinieri di Arona con i colleghi delle province di Pavia, Vercelli e Milano. Alla banda era stata attribuita una rapina all’agenzia della Bpl di Cremona commessa nel dicembre del 2010, mentre per quella alla Banca di Piacenza lo stesso Di Sessa si era autoaccusato, come ha ricordato oggi in aula il maresciallo del Nucleo investigativo dei carabinieri di Novara che dopo le dichiarazioni di Di Sessa aveva chiesto alla Questura di Cremona di poter visionare le immagini delle telecamere, atti che però il maresciallo non ha mai ricevuto.
Quel pomeriggio alle 15,30 alla Banca di Piacenza, come ricordato oggi dai due dipendenti presenti, Deborah, dopo aver lasciato chiavi ed altri effetti personali nella cassetta della bussola che aveva suonato tre volte, era entrata per prima. “E’ stata molto evasiva”, ha riferito uno dei dipendenti. “Ha detto che aspettava suo zio”. Di lì a poco era entrato anche Di Sessa che improvvisamente aveva superato il bancone e armato di taglierino lo aveva puntato verso i dipendenti dicendo che voleva i soldi. Subito dopo la bussola aveva ripreso a suonare. Dentro c’era colui che per l’accusa era Vito Landolfi. “Gli altri due all’interno della banca hanno urlato di farlo entrare”, ha detto il dipendente, che nel frattempo stava spiegando alla coppia di rapinatori che la cassaforte era a tempo e dunque impossibile da aprire. Alla fine l’uomo e la donna avevano rinunciato e si erano dati alla fuga a mani vuote. All’epoca, sentiti dagli inquirenti, i due dipendenti avevano riconosciuto nelle foto sia Di Sessa che la figlia, ma l’uomo rimasto incastrato nella bussola, nessuno dei due l’ha saputo descrivere. “Ricordo solo che era di altezza media”, ha ricordato uno dei testimoni. Per il pm Milda Milli, quell’uomo era Vito Landolfi, lo stesso che poco dopo il colpo sarebbe tornato a riprendere gli effetti personali lasciati dai complici nella cassettiera all’esterno della bussola. Per l’imputato, il pm aveva chiesto una pena di 5 anni, 6 mesi e 6.000 euro di multa, ma per il collegio non è stata raggiunta la prova che si trattasse proprio di lui. A processo, Landolfi era difeso dall’avvocato Carlo Alquati.
Sara Pizzorni