Croce Rossa, peculato Per Rizzi la Cassazione conferma la pena di due anni
La Corte di Cassazione ha confermato per Mirko Rizzi, l’ex commissario del comitato locale della Croce Rossa accusato di peculato, la condanna inflitta in appello alla pena di due anni, pena sospesa e non menzione. Il 20 giugno del 2017 i giudici della Corte d’appello avevano riformato il primo grado che aveva condannato l’imputato a tre anni di reclusione. Ora la Cassazione ha emesso la sentenza definitiva, confermando il secondo grado che aveva ridotto la pena del primo giudice.
La vicenda risale alla fine del 2011 e riguarda l’ammanco di 16.095 euro scomparsi dalla cassaforte a muro custodita nel locale segreteria. Si trattava del ricavato della cena di gala organizzata dalla sezione femminile della Croce Rossa nell’ottobre del 2011.
“Nei confronti di Mirko Rizzi”, aveva detto il pm nella requisitoria del primo grado, “non sono emerse prove dirette, ma elementi indiziari che inducono a propendere per la colpevolezza dell’imputato”. “Se un soggetto ha la disponibilità di somme di denaro che non gli appartengono”, aveva continuato il pm, “e se queste somme spariscono, quantomeno per allontanare il dubbio denuncia la scomparsa, e invece Rizzi non ha mai denunciato né la scomparsa delle chiavi, né del denaro, senza aver mai dato una spiegazione alternativa possibile”.
Da parte sua, l’imputato ha sempre giurato di non aver sottratto neanche un centesimo dai conti correnti della Cri. A sporgere denuncia, che all’inizio era contro ignoti, era stata nel 2012 Eleonora Ducoli Parisi, allora presidente del comitato provinciale di Cremona, prima commissario del comitato provinciale e commissario provinciale della componente femminile. Era stata lei ad accorgersi dell’ammanco.
Per la difesa, “nessuno si è intascato dei soldi, e anche il presunto smarrimento delle chiavi non può avere valore indiziario, visto che l’ammanco riguardava la cena benefica che era stata organizzata successivamente alla sparizione delle chiavi. Tanti altri soggetti, inoltre, potevano essere entrati in contatto con le chiavi della cassaforte”.
Sara Pizzorni