Cronaca

Si può uscire dall'Euro con un referendum?

Il 29 maggio e il 1° giugno 2005, in due distinti referendum, francesi ed olandesi si sono espressi negativamente sulla ratifica del Trattato costituzionale europeo, solennemente firmato a Roma, il 29 ottobre 2004, nella Sala degli Orazi e Curiazi in Campidoglio.

Da allora, nel chiacchiericcio politico italiano, alimentato da dibattiti televisivi i cui protagonisti si distinguono più per la forza delle urla che per la profondità del ragionamento, si è iniziato a parlare, in modo confuso e confusionario, di referendum sull’euro o, in genere, sull’Europa.

La crisi greca ha imposto prepotentemente all’attenzione la richiesta di un referendum riguardante la presenza italiana in Europa, contestata ormai apertamente da diverse forze politiche, soprattutto di destra, e da vari settori della stampa e dell’opinione pubblica.

A questo proposito è stato coniato il termine di “sovranisti”. Ciò non ha certo chiarito le idee dei potenziali elettori, dato che, senza distinguere con chiarezza le varie ipotesi, si sono mescolate fra di loro cose diverse come l’Unione europea, l’euro ed i vari trattati europei, ivi compreso quello del Consiglio d’Europa, che ha dato origine alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e alla Corte di Strasburgo.

L’Unione europea, quale oggi la conosciamo, è frutto di vari trattati internazionali, liberamente sottoscritti dall’Italia a partire dal 1951 (Trattato di Parigi, istitutivo dalla CECA) e dal 1957 (Trattati di Roma istitutivi della CEE e dell’Euratom).

L’adesione ai Trattati europei comporta una limitazione della sovranità nazionale, più o meno forte a seconda dei settori; tale limitazione, tuttavia, è prevista dall’articolo 11 della Costituzione, secondo il quale l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

Le leggi con le quali il Parlamento italiano ha ratificato i Trattati europei non possono essere sottoposte a referendum abrogativo, in quanto l’articolo 75 della Costituzione afferma espressamente che “non è ammesso referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”.

Neppure è possibile sottoporre a referendum il Trattato di Lisbona, che ha sostituito il Trattato costituzionale europeo, dopo la bocciatura da parte di Francia e Olanda.

Innanzitutto l’Italia ha già ratificato il Trattato con la Legge 2 agosto 2008 n. 130. Secondariamente, tale legge non può, in ogni caso, essere sottoposta a referendum abrogativo, per il divieto contenuto nell’articolo 75 della Costituzione e di cui già si è detto.

Per quanto, infine, si riferisce all’euro, la moneta unica è stata introdotta con il Regolamento 17 giugno 1997 n. 1103, che trova applicazione in tutti gli Stati dell’Unione europea.

Il successivo Regolamento 3 maggio 1998 n. 974 trova applicazione solo negli Stati che sinora hanno adottato l’euro come moneta unica.

Il regolamento è un atto normativo comunitario che vale per l’intero ambito dell’Unione europea e per tutti i soggetti dell’ordinamento comunitario; è, infine, direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.

Il regolamento resta, quindi, anche se direttamente applicabile nell’ordinamento nazionale, un atto dell’Unione europea, non sottoponibile, di conseguenza, a referendum abrogativo secondo le norme dell’ordinamento italiano.

In materia non tanto di regolamenti, quanto di direttive (che, al contrario dei regolamenti, se non immediatamente applicabili, devono trovare attuazione nell’ordinamento nazionale) la Corte Costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi con la sentenza 12 gennaio 1995 n. 8, affermando che è ammissibile la richiesta di abrogazione di una legge ordinaria che attui una direttiva, quando le norme interne impugnate rappresentino una scelta che la direttiva stessa ha rimesso allo Stato nazionale, sì che tale scelta faccia parte dell’ambito di discrezionalità rimesso alla legge ordinaria.

Ma ciò conferma che la fonte comunitaria (regolamento o direttiva) non è sottoponibile a referendum.

In Italia, l’euro ha trovato attuazione attraverso il decreto legislativo 24 giugno 1998 n. 213 (emanato in forza dell’articolo 1, comma 1, della Legge 17 dicembre 1997 n. 433).

Secondo la Corte Costituzionale (che giudica della ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo), eventuali referendum aventi ad oggetto tali norme non sarebbero certamente ammissibili.

Infatti, il divieto di abrogazione referendaria colpisce, oltre che le leggi strettamente collegate all’esecuzione dei Trattati, anche le leggi “produttive di effetti strettamente collegati all’ambito di operatività dei Trattati” (sentenza 13 febbraio 1981 n. 31).

La Corte Costituzionale è giunta così ad escludere la sottoponibilità a referendum di qualsiasi disposizione normativa di qualsiasi legge in qualunque modo collegata con qualsiasi impegno internazionale, fatta eccezione, come si è visto, per le leggi con le quali lo Stato interviene, nel suo ambito di discrezionalità, per l’attuazione di una direttiva comunitaria. In conclusione, il parlare di referendum sull’Unione europea, sul Trattato di Lisbona o sull’euro è pura propaganda, priva di qualsiasi concreto fondamento giuridico.

Ed è bene che lo si sappia.

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