Cultura

Case, case e ancora case… Mostra postuma di Micheletti alla Società Filodrammatica

Una mostra postuma alla Società Filodrammatica Cremonese. Raccolta delle opere di Mario Micheletti, socio e dirigente del Filo, a cura di Tiziana Cordani, inaugurata venerdì 16 dicembre alle ore 18.

Case, case ed ancora case… Ricordo la prima volta che le ho viste, la perplessità e poi lo stupore, la curiosità ed il piacere, ora la malinconia. Ad ogni incontro con le case dipinte da Mario Micheletti mi si svela una emozione nuova e si aggiunge un nuovo significato al suo lavoro. Ora, che colui che le ha dipinte ci ha lasciato per il viaggio più misterioso dell’esistenza, le case, che per anni sono state le protagoniste della sua ricerca pittorica, sembrano irrimediabilmente vuote e mute, i loro agglomerati, le isole appaiono insondabilmente solitarie. Lo spirito dell’autore, l’entusiasmo e la partecipazione che sapeva trasfondere, ad ogni incontro con la sua pittura anche negli spettatori meno attenti, sembrano aver lasciato nei dipinti un’eco persistente seppur sommessa.

Le case, le scale, le torri non risuonano di passi né più né meno di prima, anche prima gli edifici si stagliavano solitari e misteriosi, quasi appena abbandonati da chissà quali abitanti, eppure pareva di individuarvi alcunché di ancora presente, magari invisibile ed indicibile. A ben guardare anche ora un’ombra, un richiamo, un lampo di luce pare additino una non meglio accertata presenza, quasi che, dello spirito del loro autore, sia rimasta una traccia, sebbene leggera e imprecisa.

E dev’essere così poiché le case erano, a ben vedere, una sorta di autoritratto, in forma simbolica, del loro autore: Mario Micheletti era altrettanto schivo, pacato e signorilmente sobrio, la ricchezza del suo animo e dei suoi sentimenti era altrettanto racchiusa nell’intimo e raramente espressa, così le case, che io stessa ebbi a paragonare ad una metafora umana, esprimono un mondo misterioso, intimo e vibrante dietro l’apparenza della chiusura e della inviolabilità. Arroccate entro i confini di isole e coagulate in abbracci lapidei, le strutture hanno armonie ed equilibri studiatamente severi, gli occhi oscuri delle rade aperture vi sono a malapena presenti a scandire i passaggi, tra scale che si perdono nel nulla e mura che sembra stringano il loro cerchio sino ad escludere ogni altro spazio possibile. Riecheggiano manieri da leggenda, castelli medievali e antichi borghi di favoleggiate memorie, risuonanti di una musica inudibile e che tuttavia pare aleggiare ovunque sino a rendersi palpabile nelle sfumature dei colori delicati, nei barbagli dell’oro, nelle vivide trame cromatiche che sprigionano luci improvvise.

Solo negli anni più recenti della sua produzione, l’artista cremonese mostrò di avere allentato i legami tra le sue immaginifiche costruzioni, tanto da segnalare lui stesso la svolta con una mostra che si tenne nel paese natale, Pralboino, in una serie di lavori su tela grezza ed utilizzando una tavolozza di felici e vivacicolori: le case sono proposte singolarmente, secondo andamenti dinamici, quasi in volo o capricciosamente in bilico. La vita, la felicità, forse un pizzico di allegra follia sembra abbiano investito le basiliche, solenni e austere, ma anche i nobili castelli e le belle strutture dei precedenti edifici dipinti, cadenzati da torri e cupole e lanciati sovente in limpide verticali.

Ora la diagonale la fa da padrona e le strutture sono sciolte spesso da vincoli architettonici e imprevedibilmente dinamiche. I rossi, i blu, i gialli si alternano all’oro, un colore che, in anni recenti, ebbe ad attirare l’attenzione del pittore cremonese. Micheletti vi dedicò un periodo di intense sperimentazioni, sia sulla struttura del supporto da utilizzare, sia sulla stesura e la consistenza del materiale, focalizzando esiti raffinati e preziosi. Nacquero in tal modo i dipinti dell’ultima stagione, immaginati come mosaici di tessere policrome, che comunque facevano seguito alla esperienza dei gioielli, voluti per dare, grazie all’oro, all’argento ed allo smalto a fuoco, quella consistenza gemmea a strutture evocatrici di fulgori lapidei.

Durante i nostri colloqui, nei quali dibattevamo le ragioni e le possibili soluzioni di ogni cambiamento, pur volendo l’autore restare all’interno di un discorso di estrema e severa coerenza espressiva non meno che tematica, ci addentrammo nella riflessione sui mosaici bizantini, cui io accostavo i risultati di questo suo lavoro, poiché la cifra stilistica che andavano assumendo le sue realizzazioni mi sembrava riportasse alle eleganti tessiture cromatiche di quei primi e preziosi manufatti, accentuando la vaghezza narrativa e la atemporalità che vi si accompagnavano.

Le opere di Micheletti regalano il piacere di una raffinata ricercatezza, di una quieta eleganza, non prive di una certa idea di sigla, la grazia di una cifra riconoscibile, reiterata e coerente, che, nella sua del tutto apparente concretezza, nasconde una suggestiva fragilità intrinseca, suscitatrice di poetica ed intensa emozione.

Ora malinconica e chiusa, asserragliata e limitata nel suo spazio, tuttavia solidale e faticosamente ancorata al suo mondo isolano, ora giocosa ed aperta all’altro, fiduciosa nei suoi precari ed instabili equilibri, la casa “umana” di Mario Micheletti mostra, con finezza di intuizione e lievità di linguaggio non meno che con raffinata tecnica esecutiva, tutta la ricchezza del pensiero e del cuore dell’artista, appena celata sotto il velo dell’arte.

 

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