Cronaca

Sentenza scontri: la procura ricorre contro il gup Colombo 'Ha omesso di valutare gli atti'

La procura di Cremona, nella persona dei due sostituti Laura Patelli e Lisa Saccaro, ha fatto appello contro la sentenza emessa il 14 luglio scorso dal gup Christian Colombo nei confronti dei tre imputati arrestati nella seconda tranche dell’inchiesta sugli scontri del 24 gennaio del 2015 in occasione della manifestazione dei centri sociali. Nell’atto di appello, di 20 pagine, i due pm chiedono la riforma della sentenza per “mancata o comunque erronea valutazione delle risultanze processuali e conseguente erronea applicazione della legge penale sostanziale”.

Nel luglio scorso il gup Colombo aveva assolto il cremonese Filippo Esposti, 27 anni, informatico cremonese militante del centro sociale Dordoni, mentre aveva condannato gli altri due imputati, non per devastazione, ma per i reati più lievi di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento. Giovanni Marco Codraro, siciliano 23enne attivo nei collettivi universitari, era stato condannato a 9 mesi e 26 giorni, pena sospesa, mentre la pena più alta, 10 mesi e tre giorni, senza la sospensione, era andata al bresciano Samuele Tonin, 26 anni, che aveva assaltato il comando della polizia municipale. Solo per lui, risarcimento danni al Comune da liquidarsi in un separato giudizio civile. Pene ben più alte per il reato di devastazione le aveva chieste il pm: per Codraro, che sarebbe stato nelle primissime file del corteo e che avrebbe ripetutamente lanciato oggetti contundenti, l’accusa aveva chiesto 4 anni, così come per il bresciano Tonin che sarebbe stato tra coloro che avevano lanciato fumogeni verso i reparti delle forze dell’ordine e che avevano danneggiato il comando della municipale. Per il cremonese Esposti era stata chiesta la pena più alta: 5 anni e 4 mesi. Sarebbe stato lui, per l’accusa, ad occuparsi degli acquisti di giacche, zaini e caschi utilizzati durante gli scontri.

Una sentenza, quella del gup Colombo, completamente diversa da quella emessa il 21 gennaio precedente dal giudice Pierpaolo Beluzzi, che al contrario aveva riconosciuto la devastazione e che aveva condannato i primi quattro arrestati a quattro anni ciascuno.

Ora contro la seconda sentenza c’è un ricorso in appello della procura di Cremona. Nell’atto, i pm richiamano l’orientamento della Suprema Corte, secondo la quale l’elemento oggettivo del reato di devastazione “consiste in qualsiasi azione, con qualsivoglia modalità posta in essere, produttiva di rovina, distruzione o anche danneggiamento, che sia comunque complessivo, indiscriminato, vasto e profondo, di una notevole quantità di cose mobili o immobili” e che “integra il reato di devastazione e saccheggio in quanto lede l’ordine pubblico inteso come forma di civile e corretta convivenza, la condotta tenuta da un gruppo di tifosi che, prima dell’inizio di una partita di calcio, realizzi plurime e gratuite aggressioni nei confronti delle forze di polizia, facendo uso di ogni genere di oggetti contundenti”.

Nel ricorso, la procura fa riferimento alla motivazione del gup Colombo che non ha ritenuto sussistere il reato di devastazione in quanto “il danneggiamento non è complessivo (per lo più edifici e di proprietà privata oggetto di azioni svoltesi in un lasso di tempo limitato); non è indiscriminato (per lo più edifici utilizzati per lo svolgimento di specifiche attività commerciali di carattere finanziario, e quindi oggetto di specifica scelta da parte degli autori del fatto); non è vasto (edifici localizzati in luoghi distanti tra loro massimo un chilometro, ossia uno spazio estremamente esiguo rispetto all’ampiezza della città, e non è profondo (avendo avuto per lo più a oggetto solo le parti esterne degli edifici)”. Per il gup Colombo, dunque, “appare pertanto improbabile che tali azioni circoscritte nello spazio, nel tempo e negli oggetti, abbiano potuto avere l’effetto di turbare il senso di sicurezza in capo all’intera collettività della città di Cremona”.

Una motivazione, secondo i due pm, “apparente e priva di riferimenti ai fatti di reato: come emerge dall’utilizzo ricorrente della locuzione ‘per lo più’ da parte dello stesso giudice, gli effetti dei plurimi danneggiamenti sono più vasti di quelli lasciati intendere, nemmeno descritti nella loro materialità”. Per la procura, “dalla visione delle immagini in atti (la cui analisi e conseguente valutazione era doverosa e di cui non vi è traccia in sentenza), emerge un quadro di condotte ripetute di violenza poste in essere in modo indiscriminato nei confronti di plurimi edifici sia pubblici che privati. Condotte che creavano un danneggiamento profondo al tessuto urbano della zona compresa tra via Mantova e viale Trento e Trieste lungo un percorso di circa due chilometri”. A differenza di quanto ritenuto dal giudice, “gli edifici colpiti”, per i pm, “non erano solo istituti finanziari, ma anche esercizi o attività commerciali private e neutre dal punto di vista ideologico, nonché edifici pubblici e arredi urbani”. Quanto alla vastità, i due sostituti procuratori puntualizzano che “i danneggiamenti si sono estesi in uno spazio di circa due chilometri, e non uno”, mentre sulla profondità, “un danneggiamento deve essere valutato profondo in ragione della sua intensità, a prescindere che interessi o meno l’involucro esterno degli edifici”.

Nella motivazione della sentenza, il gup Colombo ha ritenuto “improbabile che tali azioni abbiano potuto turbare il senso di sicurezza della città”. Valutazione sbagliata, per le pm Patelli e Saccaro, che imputano al giudice di aver “omesso completamente di valutare gli atti, in particolare le immagini video, gli articoli della stampa locale e la predisposizione delle forze di polizia di imponenti misure di ordine pubblico”. Quel giorno, come si legge nell’atto di ricorso, “non vi è stata la possibilità per i cittadini dell’intera città di Cremona, di godere della tranquillità correlata al normale vivere civile e al senso di sicurezza”.

Per quanto riguarda l’elemento soggettivo del reato, per i pm ancora una volta “la sentenza omette completamente di valutare tutti gli elementi che consentono di ritenere la preordinazione e programmazione dei fatti di devastazione”. “Deve essere infatti considerata”, si legge nel ricorso, “la modalità con cui i disordini ebbero inizio, mediante un sistematico cambiamento della prima linea del corteo, attraverso una coordinata azione tra chi la occupava prima con manifesti e striscioni, e chi vi si sostituiva, agevolato dal puntuale lancio di fumogeni, coprendosi con caschi e giubbini neri (volti non solo a non farsi riconoscere – e nemmeno, come sembra ritenere il giudice, a difendersi da scontri fino a quel momento inesistenti – ma anche a incutere timore nei terzi e nelle stesse forze dell’ordine, posto che tale abbigliamento è tipico di chi in manifestazioni pubbliche abbia intenzione di ingaggiare battaglie urbane”. “L’analisi delle singole condotte degli imputati”, per i pm, “non può essere effettuata atomisticamente, ma deve essere declinata nel contesto complessivo”.

Per quanto riguarda la posizione di Samuele Tonin, per i pm, “la consapevole partecipazione dell’imputato all’azione di devastazione deve essere inferita dal fatto che lo stesso si travisava il volto, si portava appresso bastoni e fumogeni, indossava un guanto di lavoro sulla mano destra prima della sua azione offensiva, e dal fatto che la sua condotta si sviluppava in vari momenti della manifestazione”. Per la procura, “elementi che conducono ad escludere l’occasionalità e la spontaneità della condotta di Tonin”.

La posizione di Giovanni Marco Codraro: “Significativo indice della sua consapevole partecipazione ai fatti di devastazione”, si legge nel ricorso, “è il collocamento dell’imputato al centro della prima fila dello schieramento di soggetti travisati con caschi e armati di bastone”. E ancora: ‘Ulteriore elemento che evidenzia il sicuro coinvolgimento di Codraro nell’azione violenta e della sua presenza non casuale agli eventi, è il fatto che lo stesso indossasse per travisarsi un casco di colore nero identico per modello e fattezze a quello di altri soggetti postisi nel corteo in prima linea, oggetti portati sul luogo proprio al fine di perpetrare le violenze scaturite”. Quegli stessi caschi erano stati trovati nell’area ex Snum di Cremona e sottoposti a sequestro il 17 febbraio del 2015. Oggetti che secondo la procura erano gli stessi che erano stati utilizzati dai manifestanti il giorno delle violenze.

Infine Filippo Esposti: Il gup Colombo aveva ritenuto che fosse stato effettivamente lui ad aver comprato i caschi, le giacche e gli zaini utilizzati per i disordini; tuttavia quegli oggetti non erano stati  utilizzati direttamente per offendere. Quindi, assoluzione. Un ragionamento, qullo del gup, “avulso dai comuni dati di esperienza circa l’utilizzo di quegli oggetti nell’ambito di manifestazioni, anche di matrice ideologica”. “E’ noto, infatti”, scrivono ancora i due pm, “che l’azione prodromica agli attacchi da parte dei manifestanti violenti è quella del travisamento mediante caschi e abbigliamento nero, da cui è nata l’espressione ‘black bloc'”. Per la procura, “non può essere svalutata alla stregua di un dato neutro la circostanza che Esposti, militante di spicco del centro sociale Dordoni, nonchè imputato per i fatti di rissa avvenuti una settimana prima, abbia acquistato nei giorni immediatamente antecedenti numerosi caschi, giacche e zaini identici a quelli usati dai manifestanti violenti”.

Sara Pizzorni

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