Tamoil bis, l’accusa: La contaminazione ‘un insulto al territorio’
Il 20 giugno la sentenza. Per il procuratore generale Fasolato, la contaminazione è “un insulto al territorio”, anche per il danno di immagine che ha creato. Danno di immagine ripreso dall'avvocato Romanelli che assiste come parte civile il Comune di Cremona.
C’è attesa per la sentenza del processo d’appello nei confronti dei cinque manager della raffineria Tamoil accusati dal procuratore generale Manuela Fasolato di avvelenamento delle acque in concorso con il disastro ambientale doloso. Il 20 giugno la corte d’assise d’appello di Brescia, presieduta dal giudice Enrico Fischetti e composta dal giudice relatore Massimo Vacchiano e da sei giudici popolari, pronuncerà la sua decisione. Per gli imputati, il pg ha già chiesto pene pesanti: otto anni e quattro mesi per Enrico Gilberti, sette anni e quattro mesi per Giuliano Guerrino Billi, sette anni e due mesi ciascuno per Pierluigi Colombo e Saleh Abulaiha e sette anni e un mese per Ness Yammine. Tutti sono processati con il rito abbreviato, che dà diritto allo sconto di un terzo della pena. In primo grado, il giudice Guido Salvini aveva emesso quattro condanne, due per disastro doloso e due per disastro colposo, e l’assoluzione per Yammine. I manager erano accusati di aver inquinato la falda acquifera causata dalla rete fognaria gruviera. Una contaminazione che ha interessato anche le canottieri Bissolati, Flora e il Dopolavoro ferroviario.
Una contaminazione che per il pg Fasolato è “un insulto al territorio”, anche per il danno di immagine che ha creato. Danno di immagine ripreso nel suo intervento di replica dall’avvocato Alessio Romanelli, che assiste come parte civile il Comune di Cremona. In primo grado, parte civile al posto del Comune si era costituito il cittadino Gino Ruggeri, responsabile dell’associazione radicale Piergiorgio Welby, che aveva portato a casa un risarcimento di un milione di euro a titolo di provvisionale. “Se si considera che Cremona è una città che punta sul turismo di qualità e sull’agroalimentare di eccellenza, è chiaro che se viene sbattuta in prima pagina come teatro di un disastro ambientale e di avvelenamento delle acque, il danno di immagine che ne deriva è enorme”.
Ieri l’avvocato Romanelli, nel corso delle repliche della quinta e ultima udienza del processo, ha anche citato la relazione Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che il 24 ottobre del 2012 aveva inviato al Ministero dell’Ambiente una relazione tecnica in cui calcolava in non meno di 10 milioni di euro i danni all’ambiente provocati dalla raffineria.
Per l’avvocato Romanelli, che ha replicato a quanto sostenuto dalle difese dei manager, l’inquinamento non può essere considerato storico. “L’inquinamento era attuale ed è attuale, non si è mai fermato dopo l’autodenuncia di Tamoil del 2001, ma è andato avanti”.
Il legale del Comune ha anche risposto a quanto sostenuto dai difensori, e cioè che nel processo di primo grado ci sarebbe stata una “fuga”, da parte del giudice, “dall’argomento scientifico’, o “selezione irrazionale degli argomenti scientifici” in un procedimento complicato e denso di questioni tecniche. “Non è vero”, ha replicato Romanelli, “il giudice Salvini si è basato su una perizia di 350 pagine che ha risposto in modo esauriente a tutti i quesiti posti dal giudice in ordine all’origine della contaminazione, partita dall’interno della raffineria e sviluppatasi all’esterno fino alle canottieri, sia della falda superficiale che di quella intermedia, da idrocarburi, benzene e Mtbe, l’additivo usato per la benzina cosiddetta verde solo dalla prima metà degli anni ’80”.
“Nel 2014”, ha ricordato infine l’avvocato Romanelli, “Tamoil ha operato una scissione societaria che ha fatto sì che le aree della raffineria facciano capo ad un società che ha 100.000 euro di capitale sociale”. Un fatto che secondo il legale “desta non poca preoccupazione, visto che si tratta di un capitale sociale molto basso”. Amministratore di questa società è Enrico Gilberti, uno degli imputati.
In udienza hanno preso la parola anche gli avvocati difensori Carlo Melzi d’Eril, Riccardo Villata e Simone Lonati. Nei loro interventi i legali si sono concentrati in modo particolare sulle fonti della contaminazione (fogne, serbatoi e pozzi), sulla datazione della contaminazione e sullo stato della contaminazione dal 2001 al 2007, e sugli errori individuati nella sentenza di condanna emessa in primo grado dal giudice Salvini. Sempre secondo gli avvocati dei manager, che hanno cercato di dimostrare come non vi sia alcun elemento per poter ricondurre la vicenda all’interno della fattispecie di disastro, e soprattutto di avvelenamento, la società ha compiuto tutto quello che le regole del procedimento amministrativo impongono di fare.
Sara Pizzorni