Cronaca

Tamoil, l'appello: per il pg è avvelenamento delle acque. Comune parte civile

Si aprirà venerdì a Brescia il processo d’assise d'appello per la vicenda Tamoil che in primo grado ha visto due condanne per disastro doloso e due per disastro colposo e risarcimenti in favore dei soci delle società Bissolati e Flora, Legambiente e Dopolavoro ferroviario.

Si aprirà venerdì a Brescia il processo in corte d’assise d’appello per la vicenda Tamoil che in primo grado ha visto due condanne per disastro doloso e due per disastro colposo e risarcimenti in favore dei soci delle società canottieri Bissolati e Flora, Legambiente e Dopolavoro ferroviario. Risarcimento di un milione di euro a titolo di provvisionale per il Comune di Cremona, rappresentato in primo grado dal cittadino Gino Ruggeri, responsabile dell’associazione radicale Piergiorgio Welby. In appello, questa volta, a chiedere i danni sarà l’amministrazione comunale in prima persona.

La sentenza di primo grado, pronunciata il 18 luglio del 2014 dal giudice Guido Salvini dopo sette anni di indagini e 40 udienze, perizie e controperizie, analisi, campionamenti e sopralluoghi, è stata impugnata dalla procura generale, che ora chiede la condanna per tutti gli imputati per il reato più grave di avvelenamento delle acque con il concorso del reato di disastro doloso ambientale.

Per il pg di Brescia Manuela Fasolato, che si trattasse di un vero e proprio disastro ambientale e di un vero e proprio avvelenamento delle acque, “emerge in maniera evidentissima nel caso di specie se solo si considerano la quantità e la qualità di sostanze nocive classificate cancerogene immesse nel terreno, negli acquiferi e nelle falde dalla Tamoil, la pluralità di tali immissioni nel tempo e le modalità delle stesse, il conseguente degrado della salubrità dell’ambiente, la potenzialità di tale inquinamento ad intaccare pesantemente la salute delle popolazioni che potevano avere accesso all’acqua così inquinata, sia per uso umano che per uso irriguo”.

Del grave inquinamento causato dalla rete fognaria, inoltre, sempre secondo il pg di Brescia, erano a conoscenza tutti i manager, i quali, negli anni, anche ereditando le cariche, non hanno fatto nulla per impedirlo. Per la procura di Brescia, già all’epoca la raffineria “aveva in mano tutti i dati operativi, storici e documentali per fornire in tempi brevi agli enti un quadro completo della situazione e almeno le linee essenziali della strategia con cui porvi riparo”. “Una comunicazione incompleta”, per il pg, “equivale ad una mancata comunicazione”.

In primo grado con l’accusa di disastro doloso erano stati condannati i manager Enrico Gilberti e Giuliano Guerrino Billi, rispettivamente a sei anni e a tre anni, mentre gli altri due, Mohamed Saleh Abulaiha e Pierluigi Colombo, erano stati condannati ciascuno ad un anno ed otto mesi per il reato di disastro colposo. Il quinto imputato, Ness Yammine, era stato assolto. Tutti processati con il rito abbreviato. Per le canottieri, il giudice Salvini aveva disposto il risarcimento da quantificarsi in un separato processo civile ma per tutti aveva riconosciuto una provvisionale immediatamente esecutiva di 10mila euro per i singoli soci delle canottieri (8mila per i nuclei familiari), 40mila euro per Legambiente e 50mila euro per il Dopolavoro ferroviario.

Nel procedimento d’appello, il Comune sarà rappresentato dagli avvocati Giuseppe Rossodivita e Alessio Romanelli, mentre le altre parti civili dai legali Gian Pietro Gennari, Marcello Lattari, Annalisa Beretta, Vito Castelli, Claudio Tampelli, Sergio Cannavò e Alessio Romanelli.

Gli imputati Enrico Gilberti, Giuliano Guerrino Billi e Pierluigi Colombo sono assistiti dall’avvocato Carlo Melzi d’Eril (con il collega Riccardo Villata nella difesa di Gilberti), Mohamed Saleh Abulaiha dall’avvocato Simone Lonati e Ness Yammine dai legali Giacomo Lunghini e Alessandro Della Chà.

LA VICENDA

Nel marzo del 2001 la Tamoil aveva presentato un’autodenuncia come sito inquinato, avvalendosi della normativa che consentiva la non punibilità per gli inquinamenti precedenti, ma che tuttavia comportava l’obbligo di informare in modo completo Comune, Regione e Arpa della reale situazione di inquinamento da idrocarburi e comportava di attivarsi in modo idoneo con tali enti per ripulire le falde dei terreni. L’inquinamento aveva investito non solo la zona del sito industriale , ma i terreni esterni vicino all’argine del Po in cui si trovano le canottieri. Nel corso delle indagini è emerso che la società aveva informato in modo incompleto gli enti, sostenendo che si trattava di “inquinamento storico”, ad essa non imputabile, risalente ai primi anni ‘50 e comunque precedente al 1983 quando, secondo la difesa, la Tamoil aveva cominciato a gestire i siti industriali. Ma nel corso del giudizio abbreviato, anche dalla perizia disposta dal giudice, è emerso che l’inquinamento non poteva essere così antico in quanto c’era una forte presenza di Mtbe, l’additivo usato per la benzina cosiddetta verde solo dalla prima metà degli anni ’80. Inoltre la Tamoil non poteva considerarsi responsabile solo per inquinamenti avvenuti a partire dal 1983 in poi (quando aveva assunto questa denominazione), ma anche per quelli iniziati sin dal 1960, in quanto la società precedente, l’Amoco, aveva con Tamoil una piena continuità aziendale, essendo avvenuto nel 1983 un semplice cambio di denominazione senza variazione alcuna della compagine societaria che aveva continuato ad operare sullo stesso sito industriale.

Tamoil, così come sosteneva l’accusa, non ha messo gli enti preposti, Comune, Regione ed Arpa, nelle condizioni di avviare una bonifica appropriata, non avendo fornito un quadro completo della gravità dell’inquinamento ed avendo continuato ad operare anche tra il 2001 e il 2007, e cioè anche dopo l’ “autodenuncia”, in condizioni tali da far conseguire lo sversamento di idrocarburi nel terreno e nella falda che correva sotto i circoli creativi posti sul Po. Infatti, a partire dal 2007, momento in cui dopo gravi ritardi l’opera di ripristino ha potuto iniziare, sono stati estratti dal terreno e dalla falda acquifera, tramite pompe e barriere idrauliche, enormi quantità di idrocarburi contenenti tra l’altro anche benzene molto pericoloso per la salute pubblica.

Dalla fine del 2008 al 2011 sono stati recuperati 1800 metri cubi di prodotto surnatante, e cioè di idrocarburi che galleggiavano sulla falda acquifera, e tale recupero non è ancora terminato. Inoltre i terreni della raffineria e a valle della stessa sono ancora intrisi di idrocarburi.

Soprattutto, nel corso del giudizio abbreviato è stato scoperto che lo sversamento di idrocarburi è continuato anche dopo il 2001 , data della “autodenuncia” , a causa delle pessime condizioni della rete fognaria della raffineria. Il pm Saponara, infatti , nell’autunno del 2013 aveva acquisito presso due ditte esterne che avevano lavorato per la Tamoil, la Soncini e la Idroambiente, le copie della documentazione relativa ai lavori svolti per la manutenzione della rete fognaria effettuati anche tramite video- ispezioni dei tubi, solo a partire dalla fine del 2004 e nel corso del giudizio abbreviato sono stati sentiti sul punto anche tecnici e operai della Tamoil. Si è così potuto accertare che la rete fognaria, molto vecchia e piena di buchi e di cedimenti, perdeva molta acqua sporca di idrocarburi che finiva nel terreno. Nel 2001 questa situazione non era stata riferita da Tamoil agli enti preposti e solo alla fine del 2004 era iniziata una parziale opera di ripristino delle fogne che è proseguita sino al 2010. Questa attività, così come sostenuto dal pm e dalle parti civili, è stata svolta dalla Tamoil in ritardo e di nascosto, senza comunicarla al Comune e alla Regione. e comunque a causa delle condizioni delle fogne ancora per molti anni dopo il 2001 lo sversamento di idrocarburi nel terreno e nella falda è continuato.

Sara Pizzorni

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