Sapienza, il racconto della mamma. Il primario Danelli: 'Schinetti non doveva uscire'
La morte del giovane Riccardo Sapienza: in aula la disperazione di mamma Annalisa. Sentita anche la testimonianza del primario di Anestesia dell'ospedale Danelli, secondo il quale l'imputato non avrebbe dovuto uscire dalla sala operatoria.
di Sara Pizzorni
“Mi ricordo tutto nei dettagli, ripercorro quel giorno tutti i giorni”. Così è partita l’intensa, drammatica e commovente testimonianza di Annalisa, la mamma di Riccardo Sapienza, il 20enne cremonese morto il 23 luglio del 2013 in ospedale poco prima di essere sottoposto ad un intervento di pneumotorace spontaneo. Con l’esame di altri testi, tra cui i genitori, è proseguito il processo davanti al giudice Christian Colombo nei confronti di Valerio Schinetti, l’anestesista dell’ospedale di Manerbio accusato di omicidio colposo. Nella sua testimonianza, Annalisa ha ripercorso quei drammatici momenti, da quando lei e il marito, che erano di fronte alla sala operatoria, si erano accorti “di porte che si aprivano, di un allarme che suonava e di personale in subbuglio”. “Nessuno ci rispondeva”, ha ricordato la mamma di Riccardo, “ci siamo allarmati perché non ci davano notizie, poi ci hanno detto che c’era stato un arresto cardiaco, ma che si trattava di un uomo. ‘Non è vostro figlio’”. Disperata, Annalisa era salita in reparto dove aveva incontrato un chirurgo che aveva visitato Riccardo la prima volta. “Era insieme alla moglie ed era in ferie”, ha raccontato la testimone. “Gli ho chiesto se poteva interessarsi e dirmi qualcosa, e lui è andato a vedere. E’ stato in sala operatoria tre quarti d’ora, poi finalmente è uscito, si è strappato il camice e ci ha detto che c’era stata una complicazione. C’era anche il chirurgo Franco Fumagalli, che era molto provato. Mio marito si è buttato per terra e io ho cominciato ad urlare. Ci hanno detto che Riccardo aveva avuto un arresto cardiaco, ma non ci hanno spiegato che mio figlio non era ancora stato operato”. Da parte della famiglia era poi partita una chiamata ai carabinieri e poi all’avvocato Gabriele Fornasari, che nel processo è parte civile per la famiglia con la collega Jolanda Tasca. “Successivamente”, ha continuato a raccontare Annalisa, “ci hanno detto che il cuore era ripartito e che avrebbero portato Riccardo in Rianimazione. Nel frattempo ci hanno raggiunto i nostri figli. Dopo mezzora è arrivato il medico della Rianimazione e ci ha detto che Riccardo era morto. Non ho capito più niente, ci siamo sentiti presi in giro”. Quel giorno Annalisa non era riuscita a vedere Riccardo prima che entrasse in sala operatoria. L’ha visto dopo, quando ormai era troppo tardi. “Non è naturale per una madre vedere un figlio in quello stato”. “Nessuno mi ha potuto e mi può aiutare per affrontare la scomparsa di Riccardo, a parte mio marito e i miei figli”, ha detto Annalisa al giudice e al pm onorario Silvia Manfredi.
Una testimonianza drammatica, la sua, così come lo è stata anche quella del marito Salvatore. “Mi è caduto il mondo addosso, a me e alla mia famiglia, abbiamo perso la felicità. Sono andato in crisi, mi sono rivolto ad uno psicologo, ho preso delle medicine e sono stato a casa dal lavoro per sei mesi”. Una grandissima sofferenza anche per la figlia maggiore Manuela, 25 anni. “L’assenza di Riccardo si sente”. “Sembrava un intervento piuttosto banale”, ha detto la giovane, “tanto che non sono andata il giorno dell’intervento perché avevo un impegno di lavoro. Sarei stata con Riccardo il giorno dopo l’operazione”. “Eravamo molto affiatati”, ha raccontato Manuela, “eravamo di sostegno l’uno verso l’altra. Riccardo giocava a calcio, era molto appassionato, voleva sempre che andassi alle sue partite”. A calcio, sulle orme del fratello maggiore, giocava anche l’altro figlio Leonardo. “Da quando Riccardo è morto ha lasciato il calcio”, ha detto mamma Annalisa. Riccardo era il suo fratellone, il suo esempio. Da quando è morto, Leonardo non è più stato quello di prima”.
Tra gli altri testimoni sentiti oggi a processo, anche Giorgio Danelli, il responsabile del servizio di Anestesia dell’ospedale. E’ lui che dopo l’arresto cardiaco di Riccardo ha coordinato i lavori. All’imputato Schinetti, la procura contesta anche il fatto di essere uscito dopo aver intubato il paziente. L’anestesista, come riferito dai testimoni nel corso delle precedenti udienze, si trovava in una stanza con postazione computer di fronte alla sala operatoria. “Doveva rimanere in sala”, ha detto oggi il primario Danelli, rispondendo ad una domanda dell’avvocato Fornasari. “Si tratta di una chirurgia delicata per cui bisogna stare in sala”, ha detto il testimone, che ha riferito di aver chiesto a Schinetti se ci fosse stato un errore nel posizionamento del tubo. “Lui mi ha risposto di no”, ha detto ancora il teste. Per i resto, Giorgio Danelli, visibilmente agitato, tra molti non ricordo, ha detto di essere entrato in sala operatoria per controllare e di aver visto “agitazione”, “un clima molto concitato”. “C’era un arresto cardiaco”, ha riferito al giudice, “e in quel momento erano andati a chiamare Schinetti che era uscito. Il paziente, pronto ed intubato, aveva un vistoso enfisema sottocutaneo sotto il collo. D’accordo con il dottor Fumagalli, abbiamo drenato il torace, ma dal polmone sinistro non usciva aria. A quel punto è stato fatto il massaggio cardiaco e le manovre di rianimazione, ho dato istruzioni rapide e ho preso in mano la situazione”. “Schinetti l’ho visto colpito”, ha riferito Danelli, “è stato un grosso shock per tutti. Da quel momento non ha più lavorato sul tavolo operatorio, non è riuscito a gestire la situazione a livello emotivo”. La causa della morte ? “La prima cosa che abbiamo pensato”, ha concluso Danelli, “è stata quella o di un’ostruzione dovuta ad un blocco di aria o di una rottura tracheale”.
L’udienza è stata aggiornata al prossimo 21 marzo per l’esame di altri testimoni. Oggi la difesa dell’imputato, rappresentata dall’avvocato Stefano Forzani, ha chiesto al giudice che venga acquisita dall’ospedale di Cremona la planimetria del blocco operatorio.