Cronaca

Sparò al gatto, gli aveva ucciso 900 tacchini: allevatore assolto 'C'era lo stato di necessità'

Con il suo fucile da caccia sparò ad un gatto che gli aveva ucciso i tacchini. 900 gli animali trovati morti nel recinto. Un 55enne cremonese è finito a processo con l’accusa di uccisione di animali “per crudeltà e senza necessità”, ma il giudice lo ha assolto. Uccidere il gatto era necessario.

di Sara Pizzorni

Con il suo fucile da caccia sparò ad un gatto che gli aveva ucciso i tacchini. 900 gli animali trovati morti nel recinto. Un 55enne cremonese è finito a processo con l’accusa di uccisione di animali “per crudeltà e senza necessità”, ma il giudice lo ha assolto. Uccidere il gatto era invece necessario “per evitare l’aggravamento di un danno ai beni ritenuto altrimenti inevitabile”. Così ha deciso il giudice Francesco Beraglia che ha chiuso il procedimento nei confronti dell’imputato, mandato assolto “perché il fatto non sussiste”.

Il 3 ottobre del 2009 una pattuglia della polizia provinciale aveva notato l’imputato mentre, dall’ingresso del suo allevamento di tacchini, sparava verso la vegetazione. Gli agenti avevano poi appurato che l’uomo aveva colpito e ucciso un gatto. Il 55enne era quindi stato raggiunto da un decreto penale di condanna a cui la difesa si era opposta. L’uomo è quindi finito a processo.

Lo stesso imputato ha spiegato di gestire con la moglie un allevamento di circa 10.000 tacchini. Dal suo racconto, quel giorno l’imputato si era recato presso il capannone dove erano ricoverati i tacchini e aprendo il portone si era accorto che un gatto stava fuggendo. Gli animali erano ammucchiati l’uno sull’altro in un angolo, come fanno sempre quando si sentono minacciati. Un comportamento, questo, che determina la morte di molti animali, o per soffocamento, o perché risulta necessario abbatterli in seguito alle ferite riportate. Mentre stava rimuovendo le carcasse, l’uomo ha raccontato di aver visto il gatto che tentava nuovamente di entrare nel recinto. Dopo aver tentato inutilmente di cacciarlo, aveva preso il fucile e aveva esploso un colpo al solo scopo di spaventarlo, ma il gatto era stato colpito da alcuni pallini. In quel momento era arrivata la polizia provinciale. A causa del gatto, nel capannone erano morti circa 900 tacchini, con un danno stimato di 11.000 euro.

Sebbene sia stato provato che l’uomo abbia ucciso il gatto sparandogli con un fucile a pallini, il giudice ha ritenuto comunque di assolverlo. “Va premesso”, scrive il magistrato nella motivazione della sentenza, “che non risulta particolarmente credibile che l’imputato, come da lui dichiarato, non volesse colpire il gatto, ma solo spaventarlo, posto che in tal caso avrebbe probabilmente sparato in aria e non verso l’animale”, ma in questo caso l’articolo del codice penale che contempla l’uccisione di animali senza necessità non è stato ravvisato.

“La Cassazione”, si legge nella motivazione, “ha più volte evidenziato come nella nozione di ‘necessità’, che esclude la configurabilità del delitto in questione, rientri non solo lo stato di necessità, ma anche ogni altra situazione che induca all’uccisione dell’animale per evitare un pericolo imminente o per evitare l’aggravamento di un danno alla persona o ai beni ritenuto altrimenti inevitabile”. Per il giudice, “nel caso di specie, è indiscutibile e dimostrato documentalmente che la presenza del gatto all’interno dell’allevamento di tacchini aveva già cagionato un consistentissimo danno economico e che la condotta dell’imputato è stata determinata dalla volontà e dalla necessità di evitare che tale danno si aggravasse a causa della morte di un numero indeterminato di altri volatili, non potendo egli presidiare il capannone notte e giorno”.

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