Un fulmine colpisce la chiesa di San Vincenzo e fa crollare un grosso pinnacolo in marmo
Si è sfiorata la tragedia mercoledì sera in pieno centro durante il temporale che ha flagellato per tre ore la città e la campagna circostante. Al di là dei danni alla vegetazione (un platano è stato danneggiato in viale Po), un fulmine ha colpito nel mezzo un pinnacolo in marmo della facciata della chiesa di San Vincenzo in via Palestro e un cornicione di una casa che si affaccia sulla piazzetta antistante palazzo Stanga che ha portato alla chiusura di via Fondulo. Il pinnacolo è caduto e si è frantumato poi al suolo. Fortunatamente sulla piazzetta non sostavano automobili e l’ora tarda ha scongiurato che vi fosse l’accesso di studenti nell’ex scuola media Campi dove attualmente vi sono classi delle Magistrali e dei Periti Aziendali. La chiesa, in disuso da tempo, era già stata parzialmente transennata grazie ad un intervento dei “Templari”. Il parroco di sant’Agata, monsignor Giosuè Regonesi, aveva fatto anche predisporre un intervento di restauro della chiesa purtroppo non portato avanti per mancanza di fondi adeguati.
La chiesa dedicata a San Vincenzo ( e a San Giacomo) pare risalga al 1220. All’inizio in zona c’erano due piccole chiesette, una dedicata a Giacomo l’altra a Vincenzo, e come spesso accade si deliberò di unirle facendone una più grande ed accogliente. Il 17 settembre 1600 venne consacrata la nuova chiesa dal vescovo Speciano e ad essa venne annesso il collegio dello stesso nome e sede di tre congregazioni di laici (della Carità, dell’Annunciazione e della Purificazione di Maria Vergine). Vi trovò collocazione anche una Spezieria, una farmacia nella dizione più moderna, che distribuiva farmaci ai più poveri e che fu successivamente inglobata nell’Ospedale Maggiore. San Vincenzo era gestita dai Barnabiti. Nel 1810 la chiesa, il collegio e il monastero divennero ospedale militare. La chiesa diventò successivamente sussidiaria di Sant’Agata e il convento un ricovero per anziani demolito negli anni Quaranta.
Foto di Francesco Sessa (fotofrancescosessa.xoom.it)