Cronaca

«Volevo vivere l’esperienza degli indignados. Sono tornato amareggiato, ma non mi arrendo»

«Volevo vivere l’esperienza della manifestazione degli indignados a Roma. Conoscevo un ragazzo che ci andava e mi sono aggregato». Comincia così Paolo, giovane cremonese che ha vissuto sabato nella capitale l’esperienza del corteo contro la crisi globale, economica e politica, e che ne parla a Cremonaoggi. «Siamo partiti alle cinque della mattina, alcuni in autobus, altri in macchina, altri ancora in treno».

Come mai hai deciso di andare?
«Volevo dialogare con altre persone, magari rimanere lì a dormire in un presidio. Mi immaginavo la manifestazione come un punto di contatto tra realtà diverse che non ci stanno più allo stato attuale delle cose e che vogliono far qualcosa per cambiare: sindacati, partiti, comitati, indignados, movimenti finalmente insieme per dare inizio ad una svolta. Poi, il corteo è andato diversamente, è stato bloccato e la gente se ne andava perché non voleva stare in mezzo ai casini»

Anche tu, come molti indignati vivi il precariato e la crisi?
«Diciamo non direttamente, almeno per ora, ma sono in un periodo della mia vita in cui posso spendere del tempo per impegnarmi in prima persona. Nel quotidiano molta gente è impegnata con il lavoro e la famiglia e spesso non ha tempo per informarsi o cercare di cambiare le cose. Io che ce l’ho mi sento quasi in dovere di farlo»

Torniamo a sabato, siete partiti da Piazza della Repubblica?
«Ti spiego come era composto il corteo: davanti i facinorosi, dietro No Tav tranquilli, poi Cobas, sindacati, partiti e indignados. Noi siamo arrivati un po’ tardi a Roma, quando la manifestazione era già in marcia, dunque eravamo nelle retrovie, anche se poi pian piano siamo avanzati. Già nella prima via abbiamo trovato due macchine che bruciavano…»

Cosa hai pensato?
«Un gesto da teppista»

Poi, come è proseguito il corteo?
«Siamo arrivati alla fine di via Cavour. Si sapeva che le prime azioni sarebbero avvenute lì…»

In che senso si sapeva?
«Su internet qualcuno incitava alla violenza. Persino il Tgcom il giorno prima aveva detto che gli scontri sarebbero stati plausibili. Per quanto riguarda il punto, la fine di via Cavour è l’inizio della strada più breve per raggiungere Montecitorio. Può darsi che avessero programmato un’azione verso i palazzi del potere. Però, nessuno l’ha fatto, c’erano troppe camionette a difendere quella parte di città»

Il corteo dunque è proseguito verso il Colosseo…
«Le macchine incendiate avevano rallentato la manifestazione perché la gente era costretta a passare lentamente vicino alle auto in fiamme. Dopo il Colosseo, di nuovo auto in fiamme e il casolare del Ministero dell’Interno incendiato. A quel punto, il corteo era diviso in due tronconi. La prima parte ha proseguito fino a San Giovanni, la seconda è rimasta indietro»

Tu eri nella prima parte, giusto?
«Sì, nella parte in cui c’erano anche i facinorosi. Saranno stati 500, forse mille, l’1-2% di tutto il corteo. Arrivati a San Giovanni, hanno dato il via agli scontri veri e propri. Chi voleva stare alla larga, poteva farlo. Io per esempio mi sono messo sul sagrato della Chiesa»

Cosa hai visto?
«Quelle persone erano minimamente organizzate: avevano chiuso tutte le strade con i cassonetti rovesciati per rallentare l’arrivo delle forze dell’ordine»

Cosa hai pensato?
«Ero e sono in totale dissenso. Innanzitutto San Giovanni non è un simbolo di potere, poi questi scontri diventano la scusa per le forze dell’ordine per interventi nei luoghi che fanno opposizione. Le violenze alla fine vanno a vantaggio dei potenti»

Tv e giornali li hanno chiamati black bloc. Ma chi c’era tra i violenti di Roma?
«Io ho visto persone grandi, aizzatori messi lì apposta per guidare le violenze. Poi, qualche straniero e tanti ragazzini sotto i 22-23 anni che non sanno cos’è la politica sul territorio e attaccano solo per divertirsi. Ho sentito dire che qualcuno si è ritrovato la sera prima per decidere cosa fare, gli altri sono tutti “pecoroni” e seguono i grandi»

Ed erano ben attrezzati…
«I facinorosi avevano caschi, guanti, petardi e bombe carta. La maggior parte di quelli che sono arrivati col casco, sapevano già come sarebbe andata a finire… La cosa che mi ha colpito è che molti ragazzini, dopo gli scontri, prendevano la metro e tornavano a casa come se nulla fosse: probabilmente pensavano di aver passato semplicemente un pomeriggio diverso dal solito»

E tu, come sei tornato a casa?
«Sono tornato amareggiato, ma questa non deve essere una scusa per non fare più nulla. Bisogna organizzare qualcosa per cambiare lo stato delle cose e bisogna farlo mettendosi insieme. A Cremona è difficile, ma c’è necessità di un nuovo consenso e di un nuovo movimento».

Greta Filippini

 

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