Cronaca

Tre motivi per riformare la Giustizia

Giorgio Bocca scriveva su Repubblica, un po’ di anni fa, un memorabile articolo dal titolo “La Caporetto dei tribunali”. E iniziava così: “Per capire i guai della giustizia italiana non occorre aspettare le geremiadi degli alti magistrati alla inaugurazione del nuovo anno e neppure quelle degli eurocrati. Basta entrare in un palazzo di giustizia, a Palermo come a Milano, a Roma come a Bari: più simili a un suk che alla sede della legge dove tutti aspettano ciò che non arriva. Un grande calderone di udienze e sentenze,un andirivieni di faccendieri, portaborse, testimoni non sai se veri o comprati, camerieri con le tazzine fumanti del caffè, avvocati, uscieri, poliziotti, carabinieri e i malcapitati sulla cui testa passano carte, parole e anni di galera…”.
Era il 13 gennaio 2000. Cose, giudizi, impressioni di undici anni fa. Da allora non è cambiato nulla. I processi sono sempre più lenti, i reati crescono. Siamo diventati i peggiori d’Europa, ultimi nella classifica dei 47 Stati che compongono il Consiglio d’Europa (compresi Azerbaigian e Georgia). Forse solo la Bosnia, dove il processo civile dura 701 giorni, sta peggio di noi. Dico, la Bosnia-Erzegovina, paese trai più arretrati della ex Jugoslavia, un paese sconvolto dalla guerra civile. Per capirci in Norvegia hanno appena 7mila processi arretrati, noi 5 milioni. In compenso abbiamo il record degli avvocati (290 ogni cento mila abitanti) ed essendo i più litigiosi del continente, produciamo la bellezza di tre milioni di nuove cause all’anno. Siamo, appunto, alla Caporetto dei Tribunali. Siamo sul ciglio dello sfascio. Che fare, allora?

Ci permettiamo tre suggerimenti, semplici semplici.
1) Separazione delle carriere. Senza non c’è vera giustizia. Voglio dire: il magistrato inquirente deve essere messo sullo stesso piano del difensore, chi giudica deve stare al di sopra delle parti. L’avvocato difensore non più essere valutato come un mendicante di diritti (più o meno tollerato) mentre il pm che indaga è un collega di chi emetterà la sentenza e magari i due vanno a farsi il caffè insieme alla macchinetta. C’è qualcosa che stride in tutto ciò. O no?
2) La responsabilità verso i cittadini. I magistrati non possono non averla. Voglio dire: se un imprenditore sbaglia, fallisce. Se un grande manager sbaglia, viene cacciato. Se un politico sbaglia, non viene più votato e se ne torna a casa. I magistrati no. I magistrati in Italia sono l’unica categoria di lavoratori dipendenti che incassano lo stipendio senza dover rendere conto a nessuno. Se non sbaglio il referendum sulla responsabilità civile per danni a terzi è stato approvato a larga maggioranza ma non è mai stato applicato. Perché?
3) Niente doppi processi. Il terzo, semplice, suggerimento è che non si debba essere processati una seconda volta se si è già stati assolti.

Concludendo: io non credo che, in assoluto, abbiamo le toghe peggiori d’Europa. Anzi. Né credo sia necessario mettere i tornelli anche nei tribunali (come ha chiesto Brunetta giusto tre anni fa).Sono però convinto che cinque anni per un verdetto sia una “cifra” inaccettabile. La malagiustizia è un ostacolo etico al nostro sviluppo e alla nostra libertà.

Enrico Pirondini

 

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