Scovato racket delle regolarizzazioni che operava anche nel Cremonese
Una sorta di “racket delle regolarizzazioni”, che gestiva un vero e proprio traffico di immigrati indiani, i quali venivano portati sul territorio della Bassa (tra Cremona, Brescia, Mantova e Piacenza) apparentemente per svolgere regolari lavori presso le cascine del territorio, ma in realtà per essere letteralmente sfruttati. I carabinieri di Leno e Pralboino, coordibati da un’equipe di investigatori della Procura di Brescia (coordinati dai pm Ambrogio Cassiani e Sandro Raimondi), dopo mesi di indagini sono giunti a dipanare l’intricata matassa, partendo dall’osservazione di una sospetta concentrazione di indiani in alcuni paesi della Bassa.
La conferma ai sospetti è arrivata un giorno dello scorso autunno, quando hanno fermato un indiano provvisto di un permesso di soggiorno ottenuto dopo essere stato assunto come cameriere in casa di un senegalese. Una situazione che ai militari dell’arma è apparsa subito sospetta. Da altri controlli sono poi emersi altri particolari anomali, come 25 indiani che risultavano apparentemente residenti nello stesso appartamento, e l’attività di una cooperativa di facchinaggio che era in grado di assicurare ogni mese la busta paga a decine di persone.
Le indagini, che hanno portato a 10 arresti nell’arco di diversi mesi, ha portato alla luce un flusso di immigrati clandestini che dall’India arrivavano nel Bresciano per essere regolarizzati e trovare lavoro, sottopagati, in aziende agricole e zootecniche delle province di Brescia, Mantova, Piacenza e Cremona.
Microspie, perquisizioni e pedinamenti: questi gli strumenti che gli inquirenti hanno utilizzato per portare alla luce il flusso di immigrati, che venivano fatti arrivare in Italia sfruttando le periodiche “sanatorie”, scoprendo che aziende e cooperative venivano create ad hoc per procurare i documenti necessari alla regolarizzazione di indiani di etnia sikh, che poi venivano dirottati in aziende reali, dove venivano sfruttati, con stipendi da 300 euro al mese.
Un’organizzazione capillare, composta anche da italiani: c’era chi faceva arrivare in Italia gli indiani dopo aver raggiunto accordi economici con le famiglie a chi assicurava un alloggio e trovava i datori di lavoro compiacenti al fine di ottenere la documentazione da presentare in questura per la regolarizzazione. In questo modo l’immigrato appariva regolarmente domiciliato e lavoratore, con buste paga regolari. Ma la realtà era ben diversa: «Gli stipendi reali si aggiravano sui 300 euro al mese, ma la busta paga ne indicava almeno il triplo», hanno scoperto i marescialli Flavio Sacco e Francesco Laurino, al comando delle stazioni di Pralboino e di Leno.
Nell’organizzazione compariva anche la figura dei “caporali”, il cui compito era distribuire la manodopera nei vari lavori di campi e stalle. Ma a preoccupare maggiormente gli inquirenti era il fatto che tra questi lavoratori c’erano anche ragazzini di neppure 14 anni, addetti alla mungitura o alla gestione delle vacche, che dovevano lavorare anche per 14 e 16 ore al giorno, pagati 3 euro all’ora.
Tra i comuni interessati dall’inchiesta, sul Cremonese ci sono Ostiano e Gabbioneta Binanuova. Gli indagati sono 350: 70 italiani e 280 indiani. Fra gli indagati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina anche i titolari di un’agenzia, mentre due dipendenti comunali sono stati denunciati per omesso controllo dei requisiti necessari per ottenere la regolarizzazione. Sotto inchiesta anche 5 commercialisti bresciani: secondo gli inquirenti sarebbero stati loro a preparare le buste paga, basandosi sui dati fittizi forniti dai datori di lavoro che spesso erano prestanome. Individuate anche numerose aziende agricole che utilizzavano manodopera in nero o quasi: ai migranti servivano mesi e mesi di lavoro duro per saldare il debito con chi li aveva regolarizzati.
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