Cronaca

Immigrazione, il Mediterraneo è diventato una trappola per tutti

Ha ragione Francesco Alberoni quando sostiene che il Mediterraneo è ormai diventato una trappola. Per tutti. Per noi italiani che  ci siamo ficcati nei guai con l’operazione Mare Nostrum: se interrompiamo il pattugliamento e l’assistenza ci daranno dei disgraziati a vita. Per gli immigrati che riescono a toccare terra perché poi si ritrovano senza un alloggio, senza un lavoro; e così finiscono col vagare nelle stazioni, nei parchi, nelle reti dei malavitosi. Ed è una trappola per l’Europa dei burocrati al caviale che continuano a sottovalutare il fenomeno anche se l’Ue è sempre più invasa dai clandestini e sa respingerne al mittente appena  una minima parte. Una Europa imbelle che sa espellere solo i suoi stessi cittadini come è accaduto in Belgio che nel 2013 ha cacciato ben 265 italiani perché “troppo onerosi”. Anche la sciura Merkel sta preparando un giro di vite sul welfare: sei mesi e poi tutti a casa. Auf wiedersehen. Arrivederci. Che fare allora? Ci permettiamo alcuni consigli ancorchè non richiesti.

1) Basta piagnistei con gli alleati o presunti tali. Bisogna alzare la voce e far sentire Usa ed Europa responsabili delle morti e dei naufragi che avvengono nel Mediterraneo. Angelino deve farsi promotore di un decreto con cui dice che alla data tal dei tali Mare Nostrum chiuderà  il sipario. Nessuna proroga. L’Italia ha già dato. Avanti gli altri. Le nostre strutture di prima accoglienza sono già al collasso.

2) Reintrodurre il reato di immigrazione clandestina. Per carità continueremo a “dare cibo, acqua e medicine ai clandestini in pericolo” ma dobbiamo avvisare loro e i loro burattinai: poi vi riporteremo indietro. Ormai gli sbarchi sono troppi, le forze dell’ordine non riescono più né a identificarli né a controllarli. Col risultato di esporci a pesanti critiche; vedi  il ministro tedesco Joachim Herrmann che ci  ha accusato  di farlo apposta “perché così gli stranieri possono chiedere asilo politico in altro Paese”. La Germania ha ricevuto oltre 126mila richieste di asilo, noi nemmeno 28mila. Forse non ha tutti i torti.

3) Occorre organizzare una Conferenza Internazionale sulla Immigrazione coinvolgendo i paesi rivieraschi – dalla Turchia al Marocco –  per fissare regole condivise su quote, imbarchi, destinazioni, soccorsi, modalità di rimpatrio, eccetera. Si potrebbe pensare ad una flotta comune per pattugliare il mare e le coste da cui partono gli irregolari ed i nuovi schiavisti. Stroncando un giro di affari enorme. Diciamolo: dietro l’orrore, la pietà, l’indignazione, lo scandalo  – massì il buonismo rugoso e peloso – queste traversate del mare nascondono il business che non ti aspetti. Pagano i migranti, paghiamo noi. E i trafficanti sono beduini che godono della protezione delle cellule di Al Qaida e dintorni. Un  viaggio verso il nostro illusorio Eldorado ha tariffe da crociera caraibica: da 1.600 ai 2.000 dollari. Una fortuna. Poi aggiungete i milioni (per i rimpatrii) del Fondo Europeo, i milioni per l’integrazione, i quattrini dello Stato italiano e si comprenderà che i beneficiati difficilmente molleranno l’osso.

4) Fermiamoli prima che sbarchino. Con l’appoggio dell’Europa dobbiamo fare nuovi trattati coi governi mediterranei perché blocchino i mercanti e creino dei centri perché assistano, anche giuridicamente,  i migranti.

5) Si prenda atto, infine, che la migrazione dei popoli è un fenomeno antico come il mondo. Stroncarlo è impossibile. Lo insegna la storia. I migranti scappano per fame, per disperazione, per salvarsi dalle persecuzioni, per sfuggire ai massacri ordinati dai satrapi dei loro paesi di origine. Non cercano ricchezze, vogliono solo tirare a campare. Sono così disperati che sono disposti ad infilarsi in barconi che sono un azzardo, una roulette russa. Sanno che il loro viaggio è sempre un rischio. Siamo ormai alla mattanza ed il caos in Libia complica gli scenari.  Se l’Europa non affronta il tema seriamente e non si accontenta di “riunioni tecniche” i suoi confini diventeranno un colabrodo.

Enrico Pirondini

 

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