Tamoil, i difensori: 'dai manager no scorrettezze Tutto divulgato agli enti'
Ultima udienza dedicata alle difese, quella di oggi del processo ‘madre’ di Tamoil celebrato con il rito abbreviato davanti al giudice Guido Salvini. Cinque i manager a giudizio per avvelenamento delle acque, omessa bonifica e per tre di loro anche disastro colposo. Oggi gli avvocati della difesa si sono concentrati sulle singole posizioni dei loro assistiti. I manager Enrico Gilberti, Giuliano Guerrino Billi, entrambi di Cremona, e Pierluigi Colombo, di Abbiategrasso, sono difesi dall’avvocato Carlo Melzi d’Eril, mentre il libico Mohamed Saleh Abulaiha dall’avvocato Simone Lonati.
A Gilberti, in particolare, l’accusa imputa la conoscenza della contaminazione e il fatto di averla nascosta agli enti. Non così per la difesa, che al contrario ha sostenuto, come è stato dimostrato nella descrizione generale del processo amministrativo, che non c’è stata alcuna scorrettezza. Gilberti, per i difensori, è rimasto amministratore delegato di Tamoil fino all’aprile del 2004, quando tutto quello che la società conosceva era stato divulgato agli enti senza pecche. Dopo il 2004 Gilberti resta preposto. Molte comunicazioni agli enti sono a firma sua, ha ammesso la difesa, ma da un lato nel processo amministrativo non c’è stata alcuna scorrettezza, e dall’altro il manager aveva solo un ruolo operativo nell’ambito della società.
Per quanto riguarda invece la posizione di Mohamed Saleh Abulaiha, i legali hanno segnalato che è stato direttore generale di Tamoil Raffinazione nell’aprile del 2007, proprio nel periodo in cui, come lo stesso pm ha riconosciuto, sono state adottate tutte quelle contromisure che hanno determinato la fine della permanenza del reato di avvelenamento contestato (prima decade del luglio del 2007). In sostanza all’imputato, come ha sottolineato la difesa, vengono contestati solo 5 mesi, e in quei 5 mesi Abulaiha si è limitato a portare a termine ciò che era stato programmato dalla società, ossia la barriera idraulica. Per la difesa, il pm si contraddice quando sostiene che l’imputato non ha messo in atto alcuna iniziativa volta ad impedire la propagazione dell’inquinamento. Un reato che ha cessato di essere permanente dal luglio del 2007. Come avrebbe fatto Abulaiha, si sono chiesti i difensori, a rendersi conto della situazione in così poco tempo ?
Stesso discorso per Colombo e Billi: il primo ha lavorato in raffineria solo 8 mesi, mentre il secondo dal 1999 al febbraio del 2001, e per di più in Tamoil Petroli che nulla ha a che vedere con Tamoil Raffinazione.
Durante la scorsa udienza, invece, era stata trattata la posizione del francese Ness Yammine da parte degli avvocati
Giacomo Lunghini e Alessandro Della Chà. “Nelle 400 pagine di requisitoria del pm”, aveva fatto notare l’avvocato Della Chà, “il nome di Yammine non compare una volta, mentre nel processo una sola volta, quando un teste ha ricordato che è stato il nostro assistito a dire che sarebbe arrivato il nuovo direttore Claudio Vinciguerra”. “Nel luglio del 2007”, aveva aggiunto l’avvocato Lunghini, “quando nel consiglio di amministrazione era emersa la notizia dell’inquinamento, Yammine aveva nominato il project manager e si era occupato di seguire lo sviluppo della barriera idraulica”.
Per gli imputati, il pm Fabio Saponara ha già chiesto condanne che vanno da un minimo di 6 anni e 8 mesi ad un massimo di 13 anni, pene già ridotte di un terzo per il rito abbreviato, mentre le parti civili, solo come provvisionale, hanno chiesto 1.660.000 euro di risarcimento danni.
Si torna in aula il prossimo 16 luglio.
Sara Pizzorni
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