Violenza su compagna Parla il collega minacciato di morte
Oltre due anni di persecuzioni di ogni tipo culminate in una notte da incubo: quella dell’ultimo dell’anno, nel corso della quale la vittima sarebbe stata violentata con un vibratore di circa 30 centimetri, pestata a sangue e minacciata di essere bruciata viva. L’autore delle minacce e della violenza sarebbe stato il suo compagno, un romeno di 34 anni, accusato di aver fatto tutto sotto gli occhi della figlioletta di due anni. L’arresto del romeno risale al 23 gennaio del 2011. L’uomo deve rispondere di violenza, stalking, lesioni e minacce aggravate. Secondo la procura, inoltre, l’imputato avrebbe inviato messaggi di morte ad un collega della moglie che all’epoca aveva sporto querela. Alla base del comportamento persecutorio del giovane ci sarebbe la gelosia e la convinzione che la donna coltivasse una relazione con un altro uomo. Il romeno è a processo davanti al collegio dei giudici presieduto da Pio Massa (a latere i colleghi Francesco Sora e Andrea Milesi).
Oggi in aula è stato sentito il collega di lavoro presunta vittima che ha raccontato di aver ricevuto sms di minacce da parte del 34enne provenienti dal telefono della donna. “Tra noi c’era solo un rapporto di conoscenza e amicizia”, ha tenuto a sottolineare il teste, che in un paio di occasioni aveva accompagnato a casa la collega dal luogo di lavoro. È stata poi sentita la testimonianza di uno dei poliziotti che il 3 gennaio del 2011 si era presentato a casa della coppia. La sera prima, dopo un violento litigio, la vittima era fuggita.”Tu da questa casa non esci viva”, le aveva detto il connazionale”. Adesso vado in cantina, prendo la benzina, torno su e ti do fuoco”, minacciando di uccidere anche la figlia. Nello stesso tempo, armato di un’accetta, aveva colpito ripetutamente l’armadio ed altre suppellettili.
Quando l’uomo era sceso in cantina, secondo l’accusa per recuperare la benzina, la donna aveva avuto la forza di fuggire con la bambina. Aveva raggiunto scalza un bar e da lì aveva chiamato la polzia.
“Mi avevano incaricato di sequestrare i vestiti della donna”, ha detto in aula il poliziotto, “ma in casa non c’erano né i vestiti di lei, né quelli della bambina. L’imputato mi ha consegnato solo il bancomat e il cellulare”.
Come teste della difesa, invece, ha testimoniato un consulente medico che ha esaminato la cartella clinica della donna e la relazione con le sue dichiarazioni. “Sicuramente ha subito un’aggressione”, ha detto l’esperto, “ma gli esami non hanno registrato alcuna lesione all’apparato genitale”. La presunta vittima si è costituita parte civile. Si torna in aula per la sentenza il prossimo 28 gennaio.
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