Cronaca

Asili nido, svantaggiato chi non lavoraIl Comune cerca di evitare rette minime

Svantaggiati i genitori senza un lavoro e di conseguenza con redditi minimi, se non nulli. Avvantaggiate invece le famiglie in cui lavorano entrambi i genitori, ancora di più se pendolari che si sobbarcano trasferte da oltre 50 km al giorno. Il nuovo regolamento degli asili nido comunali, che andrà in vigore da settembre, tende a disincentivare l’utilizzo del servizio da parte di chi è in cerca di occupazione, il che può sembrare un paradosso in quanto dovendo badare ai figli, i genitori hanno meno tempo per la ricerca attiva di un lavoro. In realtà – ha spiegato in più di un’occasione l’assessore Jane Alquati – a questa tipologia di famiglia il Comune riserva comunque un servizio, quello del Centro Prima Infanzia di palazzo Duemiglia, più abbordabile come costi sia per il Comune che per le famiglie meno abbienti. Oltre che rispondere ad una diversa ottica sociale, l’asilo nido comunale risponde anche sempre più alla crescente esigenza di copertura dei costi del servizio da parte del Comune. In un certo senso, è una tappa di avvicinamento alla probabile stangata sulle rette.

Attualmente sono 44 le fasce di reddito Isee sulla cui base vengono calcolate altrettante rette. I criteri per l’ammissione ai nidi sono il reddito della famiglia, la residenza (chi risiede fuori comune paga la retta intera, 800 euro); il numero di figli presenti in famiglia, la tipologia di famiglia. Si va da un minimo di 71,50 euro (che dovrebbero pagare tutti, anche chi ha Isee pari a zero e fino a un massimo di 7.500 euro) a un massimo di 711,45 euro, per i redditi più alti. Una ripartizione che, a due anni dall’introduzione, sta mostrando di non essere più sostenibile economicamente. Tra nidi e materne viene coperto da retta solo il 22% del costo del servizio. Non a caso, nel nuovo regolamento, che prevede quattro distinte graduatorie per altrettanti situazioni famigliari, gli Isee più bassi (da 0 a 2.500 euro) danno diritto a zero punti in graduatoria, contro i 4 previsti per  chi un reddito seppure basso lo dichiara (fino ai 7.500 euro), 3 punti per gli Isee fino a 15.000 euro, 2 punti per quelli fino ai 30.000 euro. Un punto per chi dichiara una situazione reddituale superiore ai 30.000 euro l’anno.

Trenta punti sono assegnati ai bambini con un solo genitore (vedovo o bambino non riconosciuto dall’altro genitore), mentre 13 è il punteggio di base per un bambino con entrambi i genitori che lavorano (terza graduatoria) oppure anche con uno solo che lavora. Su queste basi vengono poi aggiunti punti ulteriori a seconda della vicinanza del luogo di lavoro oppure se si tratta di un lavoro su turni. Per quanto riguarda la situazione lavorativa, 15 punti vengono assegnati ai lavoratori autonomi o dipendenti con  contratti superiore ai sei mesi; punti via via decrescenti, fino ai tre spettanti ai genitori inoccupati e che studiano senza obbligo di frequenza. Anche in questo caso, è chiara la volontà di offrire il servizio a chi ha un lavoro fisso o quasi.

Restano ammessi di diritto soltanto i casi sociali veramente gravi: bambini con disabilità certificate, bambini a protezione sociale, purchè con relazione dell’assistente sociale, fratelli di bambini che già frequentano lo stesso nido.

Il nuovo regolamento è stato approvato in Giunta lo scorso 30 aprile. Avrà effetto già da settembre. E a giorni, in sede di Bilancio 2013, la Giunta dovrebbe essere in grado di assumere una decisione sul discorso rette.

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