Cronaca

Vita quotidiana sotto il fascismo: il nuovo libro di Giuseppe Azzoni, sabato in sala Puerari

Paradossi della storia. Da simboli della democrazia i partiti sembrano diventati i mostri da abbattere nell’Italia dei rimborsi-scandalo. Eppure non è lontano il tempo in cui i partiti vennero soppressi per legge non perchè sperperassero i soldi, ma perchè consentivano il libero scambio di idee e tentavano di rappresentare gli interessi dei diversi gruppi sociali che si andavano configurando dopo l’unità d’Italia.

Quegli anni di assenza di democrazia sono i protagonisti della documentata ricerca di Giuseppe Azzoni edita dall’A.n.p.i. Cremona, “Fascismo a Cremona e nella sua provincia 1922 – 1945”, che verrà presentata sabato prossimo, 16 marzo, alle 15.30 presso la sala Puerari di via Ugolani Dati. Il volume, di 650 pagine, contiene contributi di Evelino Abeni, Rodolfo Bona, Gian Carlo Corada, Romano Dasti, Michele De Crecchio, Giorgio Lipreri, Mimmo Palmieri, Giuseppe Rocchetta, Ennio Serventi, Massimo Terzi, Franco Verdi. La presentazione vedrà gli interventi di Mariella Laudadio presidente Anpi provinciale, Angela Bellardi, direttrice Archivio di Stato che ha collaborato nella ricerca documentaria, Renato Rozzi e  Mario Coppetti, eccezionale testimone dell’intero arco storico esaminato. Qui di seguito, un’intervista all’autore, Giuseppe Azzoni.

Quanto tempo è durata l’elaborazione del libro?

Direi due – tre anni, in senso stretto, cioè per le ricerche in archivio di Stato, Biblioteca governativa ecc., testimonianze dal vivo, stesura. “Una vita” però, posso dire, se penso alla raccolta di testimonianze e documenti sempre fatta da anni ormai molto lontani, che ho conservato ed oggi è venuta buona. Solo due esempi: le citazioni nel libro dalle memorie di Nino Arienti di Piadena, le gesta dello squadrismo che ricavai quando feci pubblicare il reprint de “l’eco dei comunisti 1921-22”.

Cosa viene proposto di inedito o ben poco conosciuto?

I materiali e libri sinora pubblicati sul fascismo cremonese, diversi di notevole livello e di cui mi sono servito, hanno riguardato perlopiù la figura e il ruolo nazionale di Roberto Farinacci e poi periodi circoscritti quali gli anni dello squadrismo pre marcia su Roma e quelli della guerra e della Resistenza. Pur non trascurando i suddetti aspetti la ricerca ed i contributi monografici di questo libro si diffondono sulla vita di tutti i giorni, i podestà, i sindacati, le tante organizzazioni (balilla, dopolavoro, sindacati, massaie rurali ecc.), la scuola, la funzione di prefettura e questura e carabinieri durante il ventennio. Tutte cose su cui possiamo trovare della memorialistica, dei ricordi anche preziosi, ma c’è ben poco di organico da fonti documentarie.

Ci racconta qualcuno di questi fatti? Che cosa rappresentava Villa Merli, in viale Trento e Trieste?

I fatti poco o per nulla noti ripresi nel libro sono parecchi. Ne cito due che mi vengono in mente, a titolo di esempio. Nel 1928 venne dimissionato d’autorità, in quattro e quattr’otto, il presidente della Latteria Soresinese (già all’epoca azienda fondamentale della economia provinciale), Amilcare Robbiani. Una opaca operazione voluta da Farinacci coinvolgendo il prefetto e il ministero. Fu nominato commissario Giannino Ferrari (noto dirigente degli agricoltori anche nel dopoguerra) che disse, dopo il 25 aprile, che non avrebbe voluto fare le scarpe a Robbiani (altro notabile che gli era anche zio) ma che fu costretto da Farinacci ad accettare. Il secondo esempio riguarda il breve periodo badogliano, dopo il 25 luglio. Ho trovato documentazione di una corrispondenza tra il prefetto Trinchero e il vescovo Cazzani in merito alla sostituzione di qualche podestà particolarmente inviso e non più tollerato dalla cittadinanza.

Per quanto riguarda Villa Merli di viale Trento e Trieste, essa era la “villa triste” di Cremona. In varie città veniva così chiamata tra la gente la sede dell’UPI durante l’occupazione tedesca. Lì venivano tenuti per i primi interrogatori gli antifascisti catturati, per poi essere – se non scagionati – inoltrati in qualche carcere, in un lager tedesco, o anche alla fucilazione come da noi Luigi Ruggeri Carmen. A Milano la villa triste fu sede di crimini orrendi, ma anche nelle altre città non si scherzava. Nel libro ho riportato informazioni desunte da testimonianze e da resoconti di stampa del processo in merito dopo la Liberazione. Ho voluto sentire anche “l’altra campana” interpellando per esempio Claudio Fedeli, che conosco da quando lui era consigliere del MSI e io del PCI. Lui minimizza (“ma sé… i ghe diva en qual casòt per fai parlaa”) ma di villa Merli ancora oggi si conserva un ricordo angosciante e i fatti che ho raccolto lo confermano. In questi giorni ho potuto ancora raccogliere una testimonianza in merito, anche se purtroppo il libro è già stampato e non ho potuto inserirla pur essendo molto significativa. Sono due ricordi della stessa persona. Il primo riguarda l’uccisione del fascista Luigi Guarneri (il suo nome compare come “disperso” tra i fascisti uccisi subito dopo il 25 aprile di cui ho trovato documentazione). La testimone (di cui conosco il nome ma mi ha pregato di non renderlo pubblico) ha assistito al momento in cui, il 26 aprile ’45 uno straniero (forse uno slavo) ha fermato Guarneri che sopraggiungeva in bici sullo stradone davanti al cimitero di Castelverde, gli ha chiesto se era uno di quelli di villa Merli ed alla risposta affermativa lo ha ucciso con una pugnalata, quindi si è dileguato. Non si sa altro su questo delitto ma villa Merli suscitò risentimento ed odio fino a questo punto (il nome Guarneri Luigi, morto il 26 aprile 1945, compare su una lapide del cimitero di Castelverde). La stessa testimone ricorda poi che in piazza Roma proprio nei giorni appena dopo la Liberazione in un locale “dove adesso c’è la banca” erano esposti al pubblico attrezzi trovati nelle stanze degli interrogatori a villa Merli. “Ho potuto vederli a fatica perché c’era molta ressa ed agitazione di gente”: c’erano delle strisce di cuoio con nodi su un corto manico che aveva un fermaglio da polso (per dare frustate anche in faccia?), un randello con punte di chiodo sporgenti, una specie di tenaglietta (per cavare le unghie?).

Cosa emerge nella ricerca, circa le peculiarità del fascismo e dell’antifascismo cremonese?

Il fascismo cremonese fu molto forte e si collocò di volta in volta, nella pur distorta dialettica nazionale del PNF, tra i protagonisti delle posizioni peggiori. La violenza squadrista come principio e non solo come strumento, l’indurimento della dittatura come esito della crisi causata dal delitto Matteotti,  la forte pressione per l’alleanza con la Germania e l’entrata in guerra… Che tutto ciò sia stato impersonato da Farinacci è noto. Meno noto il fatto che nei momenti in cui Farinacci ha visto vacillare potere ed influenza egli è stato pienamente sostenuto dagli ambienti del fascismo cremonese, con qualche soccombente contraddizione nel cremasco e nel casalasco. Insomma molti documenti ci dicono che non si può …scaricare tutto solo su Farinacci

Per quanto riguarda l’antifascismo nel nostro territorio: si sa che aveva radici profonde sia per i “rossi” che in campo cattolico. Non è vero che negli anni del regime esso sia sparito, tesi da qualcuno avanzata. Anche dopo una repressione durissima, nella ricerca mostro come non sia inferiore a quello delle altre province il numero degli schedati come antifascisti, dei confinati ed incarcerati, dei multiformi episodi di opposizione presenti nel cremonese.

Che senso si può attribuire, nel confuso panorama politico di oggi, a quel periodo storico?

L’ importante esperienza storica degli anni dalla nascita alla fine del fascismo, vista anche e proprio dai fatti della vita quotidiana di una provincia come la nostra può essere fonte di riflessioni non banali. La conoscenza della nostra storia è importante, pur senza alcun meccanico accostamento perché la realtà è davvero ben diversa. Come recitava il titolo di un bel film piuttosto recente: “ogni cosa è illuminata dalla luce del passato”. Le cose sono nuove e diverse ma le comprendiamo davvero se sono rese ben visibili anche dalla conoscenza del passato.

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